S&P spiega la bocciatura «Bene la manovra di Roma ma progressi insufficienti»

by Editore | 15 Gennaio 2012 9:24

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NEW YORK — L’anno scorso, commentando un precedente declassamento dell’Italia, Standard & Poor’s aveva criticato il nostro scarso impegno sul fronte delle riforme fiscali, fino a confrontarci con la Spagna che aveva, invece, messo il pareggio di bilancio nella Costituzione. Ieri, nella «conference call» (una sorta di teleconferenza stampa intercontinentale) convocata per spiegare le sue decisioni di venerdì sera, l’agenzia di rating ha accomunato Italia e Spagna nello stesso giudizio negativo: «Sono i Paesi più vulnerabili con una vasta esposizione debitoria che l’Efsf, il fondo europeo “salvastati”, non sarebbe in grado di fronteggiare in caso di necessità ».
Non solo: S&P ha liquidato i radicali interventi di contenimento del debito pubblico attuati di recente anche dall’Italia come «misure positive ma insufficienti» a riconquistare la fiducia dei mercati. Avvertendo addirittura gli investitori che, oltre alla difficoltà  di rifinanziare il loro debito pubblico, i Paesi più esposti del’eurozona rischiano di dover subire i contraccolpi del disagio sociale – definito «reform fatigue» – provocato dagli «enormi sacrifici imposti alle popolazioni».
Il «day after» della bocciatura di 9 dei 17 Paesi dell’eurozona assume così anche il sapore della beffa per i Paesi che hanno cercato di attuare le misure di risanamento fiscale suggerite dalle istituzioni internazionali e anche dalle stesse società  di rating. La sensazione è che l’agenzia americana voglia indicare una sostanziale mancanza di vie d’uscita praticabili per l’euro nel suo assetto attuale e, quindi, la prospettiva di una divaricazione dell’Europa della moneta unica: da un lato i sette Paesi più virtuosi (quelli «graziati» venerdì da S&P) aggrappati alla Germania, dall’altro i nove appena «declassati».
Davanti alle critiche a raffica dei giornalisti europei il portavoce dell’agenzia americana, Martin Winn, nega che quella di S&P sia un’analisi politica con «secondi fini» mentre Moritz Kraemer, l’analista tedesco che guida il team che dà  i voti ai Paesi europei, cerca di spiegare che spesso i loro giudizi sono meno cupi di quelli già  emessi dai mercati che impongono «spread» imponenti per la sottoscrizione di titoli del Tesoro dei Paesi più esposti.
Non manca un giudizio positivo per l’azione del gabinetto di Mario Monti: «La politica italiana è cambiata in modo marcato sotto il nuovo governo». Ma alla fine «le misure adottate non sono sufficienti a superare i venti contrari» che si manifesteranno nei prossimi 3 mesi, quando l’Italia dovrà  raccogliere circa 130 miliardi di euro sui mercati. Più che a Roma, S&P le responsabilità  le cerca a Bruxelles: stabilendo «misure non all’altezza della gravità  della situazione» i leader politici che hanno animato il vertice dell’Unione del 9 dicembre scorso hanno perso un’occasione cruciale per mettere a frutto i segnali riformatori provenienti dai Paesi europei in difficoltà .
Insomma una condanna in blocco della classe politica europea incapace di dare una risposta all’altezza della gravità  della crisi e di riattivare i meccanismi della crescita, oltre che di mettere in sicurezza i conti. E, con la prospettiva di un 2012 di recessione (-1,5% del Pil è la previsione più accreditata, mentre l’ipotesi più ottimistica è quella di una crescita zero) la Ue lascia Italia e Spagna allo scoperto.
Un’analisi che spinge i giornalisti tedeschi a considerare contraddittoria l’analisi di S&P che da un lato spinge Berlino al rigore, dall’altro la critica per l’inadeguatezza degli sforzi per tenere insieme l’Europa e riattivare la crescita. Si salva solo la Bce di Mario Draghi che, mentre la politica latita, cerca di limitare i danni usando con flessibilità  gli strumenti di cui dispone, agendo, in particolare, per evitare crisi di liquidità  che comprometterebbero il funzionamento del sistema bancario.
A consuntivo, la bocciatura collettiva di venerdì appare una nuova dimostrazione dell’inadeguatezza di un sistema di agenzie che – anche a non pensar male e volendo riconoscere la grande difficoltà  di giudicare situazioni economico-politiche complesse e articolate come quelle dell’eurozona – nella migliore delle ipotesi conferma, amplificandole, le conclusioni che i mercati hanno già  tratto da soli.
Per il governo Monti, in fondo, questi possono essere gli unici due motivi di (relativo) conforto: se la riduzione del voto rispecchia giudizi già  scontati dagli operatori, domani, alla riapertura dei mercati, non dovrebbero esserci grandi tensioni: il percorso di riduzione dei tassi iniziato nei giorni scorsi potrebbe anche non essere totalmente compromesso. L’analisi di S&P può poi servire a convincere i partner che l’Italia ha fatto la sua parte e che quindi ora tocca all’Europa. Sempre che l’agenzia di rating coi suoi giudizi drastici, non voglia, in realtà , spingerci verso un «salvataggio» del Fondo Monetario Internazionale.

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