Repubblicani, la guerra fratricida dell’Iowa spot miliardari per demolirsi a vicenda

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Des moines (IOWA) – Barack Obama può essere soddisfatto: il massacro virtuale tra i repubblicani è cominciato. Le primarie per natura sono sempre battaglie fratricide tra compagni di partito. Ma nell’Iowa è successo qualcosa di nuovo. La tradizione di un “caucus” all’antica centrato sulla propaganda porta a porta, sul contatto diretto con i cittadini, sulle assemblee di vicinato all’insegna del dialogo personale, è stata travolta. Il rigido inverno dell’Iowa è stato elettrizzato da una valanga di spot televisivi senza precedenti. E quasi tutti negativi. Per la prima volta in questo Stato la destra ha investito risorse massicce sullo schermo delle tv locali, in una guerra senza colpi: la demolizione reciproca dei candidati. Chi sopravviverà  fino ad affrontare Obama a novembre, avrà  parecchie ferite d’immagine da curare. «Essere negativi paga» sentenzia Jonathan Salan del Washington Post. 
Per noi reporter sbarcati dalle metropoli in cerca di una “democrazia ateniese”, di un piccolo laboratorio civico alla Tocqueville, il risveglio è brutale: siamo in una terra bombardata coi videogame della denigrazione. Su 6 milioni di dollari investiti nell’Iowa fino al 30 dicembre dai vari candidati per la pubblicità  sul piccolo schermo, ben 4 milioni hanno comprato spot “negativi”, mirati ad azzannare un rivale alla vena iugulare. Per conto di Ron Paul 1.310 attacchi, fra i più micidiali. «Per efficacia la sua è stata una campagna ottima», dice la studiosa di comunicazione Dianne Bystrom dell’Iowa State University. Il migliore di questi spot? Quello in cui Newt Gingrich viene accusato di essere un «ipocrita recidivo», per avere incassato 1,6 milioni di parcella da Freddie Mac: proprio l’istituto di credito coinvolto nel disastro dei mutui subprime, e un simbolo della commistione pubblico-privato contro cui la destra si batte. Un altro spot memorabile ha attaccato Gingrich fino agli ultimi minuti prima del voto: il video comincia con “Woops” e proietta una conferenza stampa in cui lo stesso Gingrich definisce «errori» le sue relazioni extraconiugali, poi viene trafitto da una voce femminile fuori campo che dice «di errori ne abbiamo già  subiti abbastanza». Non è stato risparmiato Mitt Romney, contro di lui è andato in onda per settimane uno spot in stile film giallo anni Cinquanta, che denuncia la sua malefatta più grave: “Romneycare”, una riforma sanitaria di tipo “statalista” che approvò da governatore del Massachusetts, molto simile a quella che Obama ha varato a livello nazionale nel 2010. Dietro questa pubblicità  c’è lo zampino di Rick Perry, il governatore del Texas.
«È una vergogna, spendere milioni in pubblicità  aggressive e diffamatorie, è una disonestà  da establishment della politica», si dissocia indignato Gingrich. Almeno su un punto ha ragione, la disonestà . Gli spot virulenti non vengono mai firmati da un candidato. Il vero mandante getta la pietra e nasconde la mano. A pagare queste pubblicità  ci pensano dei soggetti “ombra”, il cui peso cresce in modo inquietante in questa elezione. Si chiamano Pac (in inglese, le iniziali dei “comitati di azione politica”) o Super-Pac vista la loro stazza economica. Hanno nomi banalmente universali, come il Fondo Rosso Bianco Blu, la Fondazione per una Vita Migliore, o Ricostruiamo il nostro Futuro, sigle fatte apposta per nascondere l’identità  politica. Dietro ci sono grandi lobby del denaro, come il miliardario di destra Philip Anschutz. La loro libertà  di manovra è stata dilatata da una contestatissima sentenza della Corte suprema che nel 2010 ha tolto ogni limite alle spese politiche di questi comitati purché non siano «ufficialmente affiliati a questo o quel candidato». Ora questa campagna presidenziale polverizzerà  ogni record di spesa, soprattutto grazie ai Pac. E la loro “separazione” teorica dai candidati è un lasciapassare per tattiche spregiudicate. Romney, che ha con sé alcuni dei Pac più ricchi, giustifica così gli spot negativi: «Meglio che le verità  scomode vengano fuori subito, altrimenti ci penserà  Obama che avrà  un tesoro di guerra ancora superiore da spendere». Un’altra studiosa di marketing e comunicazione, Ruthann Lariscy della University of Georgia, conferma che «quegli spot funzionano, piacciono, divertono, e soprattutto si ricordano a lungo; ciascuno di noi fa fatica a dimenticare un insulto». Per Eddie Murphy, stratega repubblicano, «siamo solo all’inizio e tutta questa campagna finirà  per essere negativa». Il rischio è che questo aumenti la disaffezione dalla politica, e l’astensionismo di cui sarà  vittima anche Obama. Almeno però, dopo due anni in cui la destra populista del Tea Party ha denunciato l'”establishment di Washington”, ora la base repubblicana scopre che i suoi candidati sono organici a quelle oligarchie.


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