Referendum, la Consulta verso il no ma spunta una “raccomandazione”

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ROMA – Si blindano quando sono le 19. Gli alti giudici si chiudono nelle loro stanze e, a sorpresa, rinviano a oggi la decisione sui due referendum per abrogare il Porcellum e tornare al Mattarellum. Fino ad allora, e sin dall’audizione degli avvocati del comitato promotore lungo la mattinata – presenti nell’anticamera Antonio Di Pietro e Arturo Parisi, i “padri” della battaglia popolare – il tam tam dei bene informati insisteva su una conclusione in serata, «per evitare indiscrezioni e spifferi di qualsiasi genere». Prevale la necessità  di riflettere ancora, anche se, dopo un primo giro di tavolo, la conclusione più probabile pare un duplice no all’ammissibilità  dei referendum, ma «vestito». Non solo con una motivazione assai ampia in cui la Corte spiega come, per la sua consolidata giurisprudenza e per l’estrema delicatezza di un intervento su una legge elettorale costituzionalmente protetta, non può provocare un vuoto normativo. Non basta. La Corte invia pure un monito pressante al Parlamento sull’inadeguatezza della legge Calderoli: una “raccomandazione”. 
Presente tra i giudici anche Sergio Mattarella che nel ’93 battezzò la vecchia legge, è maturata la convinzione che i due referendum non possono essere licenziati. Così la pensa il relatore Sabino Cassese. Un chiaro invito al Parlamento ad agire per sanare le anomalie dell’attuale legge, a partire dal premio di maggioranza. Una scelta che rientra nel cammino della Corte che già  nel gennaio 2008, nel dichiarare inammissibili altri referendum, sottolineò le carenze del Porcellum. Scrisse il giudice Gaetano Silvestri: «L’impossibilità  di dare un giudizio anticipato di legittimità  costituzionale non esime la Corte dal dovere di segnalare al Parlamento l’esigenza di considerare con attenzione gli aspetti problematici di una legislazione che non subordina l’attribuzione del premio di maggioranza al raggiungimento di una soglia minima di voti e/o di seggi». 
Intendiamoci. Seppure non si è parlato di politica nella sala gialla, tuttavia la situazione politica influenza la scelta. Perché è evidente a tutti che ammettere i referendum può portare il Paese al voto. La cronaca registra che tra i giudici ci sono molte voci per l’ammissibilità  del secondo referendum che interviene chirurgicamente sul Porcellum. Come c’è chi insiste sull’idea di sollevare la questione di costituzionalità .
La scelta è giuridicamente difficile, ma lo è soprattutto per le conseguenze politiche. Non è certo un caso se ieri, nell’anticamera degli avvocati, era presente Antonio Di Pietro, massimo sponsor della spallata referendaria, che si dichiara «preoccupato per il clima». Ma anche il Pd Arturo Parisi. Che a sera, mentre si rincorrono le voci della bocciatura, dice «aspettiamo, il rinvio è un buon segno». Per Calderoli il no è certo in quanto il Mattarellum non potrebbe «funzionare visto che i collegi non sono disegnati». Un sì, per lui, avrebbe solo «motivazioni politiche». I legali dei referendari la pensano all’opposto. Lo spiega alla Corte il team composto da Alessandro Pace, Federico Sorrentino, Vincenzo Palumbo e Nicolò Lipari. Che dicono: «Rispetto al milione e 200mila firme raccolte, la Corte deve pensarci altrettante volte». Il problema è che succederà  in Parlamento. Enrico Letta propone di «costituire molto rapidamente un forum sulla riforma tra i partiti della maggioranza». L’Idv con Leoluca Orlando si appella a Napolitano e grida «vogliono escluderci». A sera, tra i referendari, si fa strada l’idea che la Corte, “scettica” sull’intervento legislativo delle Camere, alla fine potrebbe dire sì al secondo dei quesiti.


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