Reddito minimo, meno precariato ma licenziare sarà più facile
ROMA – Sfoltimento del numero dei contratti flessibili e introduzione di una sorta di reddito minimo per chi perde l’occupazione. Il piano del governo per riformare il mercato del lavoro e gli ammortizzatori sociali comincia a prendere corpo. E proprio per evitare le tensioni fin dalla prima fase del negoziato, il governo sembra orientato a partire dalla riduzione dei contratti atipici, quelli che permettono l’ingresso nel mercato del lavoro. La Cgil ne ha contati 46, considerando tutte le varianti all’interno di una stessa tipologia, il ministero del Lavoro si è fermato a 34. Comunque troppi secondo il governo e anche le parti sociali. Non hanno sostenuto né l’occupazione giovanile (i dati di ieri dell’Istat, che contano un disoccupato su tre tra i giovani, ne sono la conferma) né la crescita dell’economia, visto che dalla seconda metà degli anni Novanta (quando con il “pacchetto Treu” si è avviata la stagione della flessibilità ) il tasso produttività italiana è crollato. L’idea di un sostegno al reddito di ultima istanza, come accade un po’ in tutta Europa, continua a piacere al ministro del Lavoro, Elsa Fornero. Nelle stanze del governo si ragiona su un meccanismo assicurativo, dunque finanziato dalle imprese sul modello della cassa integrazione che, però, attualmente non viene sostenuta dalle piccole imprese di settori come l’artigianato. Difficile, dunque, poter introdurre un istituto di quel tipo senza un intervento finanziario statale a meno che non si pensi di far gravare tutto il costo sul lato delle aziende. Proprio quella delle risorse è la grande incognita di questa partita: difficile una riforma degli ammortizzatori sociali a costo zero. In ogni caso ci vorrà almeno una settimana perché il negoziato cominci per davvero. L’altro ieri il ministro Fornero ha incontrato il leader della Cgil, Susanna Camusso; lunedì vedrà quelli di Cisl e Uil, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti; martedì il segretario dell’Ugl, Giovanni Centrella, e il giorno dopo il presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia. Poi si deciderà come proseguire. Il clima, dopo giorni di polemiche a distanza tra Cgil e governo, è profondamente mutato. La Camusso si è detta pronta ad un accordo purché non si cerchi di toccare o aggirare l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Per questo il tema rimarrà in coda al negoziato. Ma ci sarà , perché gli organismi europei hanno chiesto al governo di introdurre una maggiore flessibilità in uscita e il premier Mario Monti è intenzionato a rispettare gli impegni anche se sottoscritti dall’esecutivo precedente. Nello stesso governo di tecnici, tuttavia, qualche distinzione, per quanto dietro le quinte, comincia ad emergere. C’è, per esempio, il ministro dello Sviluppo, Corrado Passera, particolarmente attento a evitare rotture con il fronte sindacale: al suo tavolo stanno arrivando tutte le grandi vertenze di crisi industriali, da martedì anche quella Fincantieri. E senza il consenso sindacale sarà impossibile gestire una fase di recessione così profonda come quella che si prospetta per quest’anno. Proprio per affrontare l’emergenza i sindacati vorrebbero che la trattativa con la Fornero servisse anche a modificare la riforma delle pensioni. La Cisl è addirittura intenzionata a chiedere di posticiparne di uno o due anni l’entrata in vigore. A Via Po si sostiene, tra l’altro, che con l’allungamento dell’età pensionabile sarà sostanzialmente bloccato il turn over nelle aziende che vanno bene. Questo – davvero – si tradurrebbe in meno opportunità per i giovani. È del tutto esclusa comunque una disponibilità del governo il quale, invece, ha già detto che intende garantire il reddito di quei lavoratori che già si trovano o si troveranno tra breve senza più indennità di mobilità e anche senza l’assegno pensionistico.
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