“Un piano contro il protezionismo all’Unione serve più mercato” ora l’Italia va in pressing su Barroso

by Editore | 8 Gennaio 2012 9:29

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ROMA – «Nessun Paese europeo è talmente forte da poter pensare di andare avanti da solo nell’affrontare l’economia globale». A Reggio Emilia per le celebrazioni del Tricolore Mario Monti chiede a tutti i partner del Vecchio Continente di concedere qualcosa per superare la crisi dei debiti sovrani. Con il decreto Salva Italia – assicura il premier – Roma ha fatto la sua parte, «ora tocca agli altri componenti dell’Unione fare i compiti»: serve certo il rigore, ma va accompagnato da «politiche comuni e da un coordinamento della crescita» evitando incomprensioni tra «Nord e Sud» del Continente. Nella visione del premier «l’Italia per svilupparsi ha bisogno dell’Europa e l’Europa per rafforzarsi ha bisogno dell’Italia». 
Per questo Monti ha chiesto al presidente della Commissione di Bruxelles, Josè Manuel Barroso, di predisporre un nuovo «piano europeo» per le liberalizzazioni che metta fine ai protezionismi nazionali tra paesi del Continente e completi il mercato unico dell’Unione. Per il governo italiano unire 500 milioni di cittadini in un vero grande mercato europeo rappresenta l’unica ricetta per fare crescita in un momento in cui le casse dei governi sono vuote. La strategia – spiegata e da spiegare ai partner – è in linea e completerebbe quella che il governo sta predisponendo con il cresci-Italia sotto la regia di Corrado Passera. Ecco perché in Europa il governo italiano lavora – per ora senza successo – perché nelle nuove regole sulla disciplina di bilancio (fiscal compact) ci sia un esplicito richiamo alla crescita e al mercato unico a fianco del rigore. Premessa al un nuovo piano europeo chiesto a Barrosoche ricordi quello lanciato a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 dall’allora presidente della Commissione Jacques Delors (prima con l’Atto unico del 1986 e poi con il Libro bianco) per aprire i mercati alla concorrenza tra cittadini e aziende dell’Unione. Una «sfida» anche alla Merkel e a Sarkozy, i cui paesi nei settori chiave continuano a conservare una massiccia dose di protezionismo. Da scardinare sono le chiusure che impediscono di operare in tutta Europa a banche e assicurazioni, professionisti, aziende di trasporti pubblico locale, mercati finanziari o operatori dell’energia. Riferendosi al futuro dell’Ue Monti ai suoi ripete: «Il rigore è giustissimo, ma ai cittadini dobbiamo dare anche speranza». Ovvero crescita.
Intanto a Palazzo Chigi si tirano le somme sul vertice di venerdì con Sarkozy. A Parigi Monti ha spezzato il direttorio franco-tedesco in favore di un dialogo più ampio sul futuro dell’Unione. Futuro che parte dal presente, da come uscire dalla crisi. Ora l’Italia è finalmente al centro del dibattito, ma da qui a riuscire a spuntarla ce ne passa. Con Sarkozy Monti ha concordato una strategia che mira a far approvare subito, già  al summit europeo del 30 gennaio, il fiscal compact, il nuovo accordo sull’Unione fiscale chiesto dalla Merkel in nome del rigore sui conti pubblici. Ma per Italia e Francia il nuovo Trattato – che tanto nuovo non è visto che in buona parte si limita a compattare le regole Ue approvate negli ultimi mesi di crisi – non basta a risolvere i mali dell’euro. Da qui la volontà  comune di spingere sulla nascita di un Fondo monetario europeo in grado di stabilizzare i mercati. Per ora meglio non parlare di Bce che operi come la Fed o di Eurobond, due svolte che a Roma piacciono moltissimo ma che si ritiene «irrealizzabili» nel medio periodo («un sogno», vengono definite). Insieme alla Francia si è quindi deciso di puntare sull’Esm, il fondo salva-stati permanente dell’Ue che dovrebbe nascere a luglio. Per Monti e Sarkozy archiviare subito il fiscal compact – ottenendo misure più morbide per l’abbattimento del debito per non distruggere le speranze di crescita – serve anche a concentrarsi poi sull’Esm e convincere Angela Merkel a rinforzarlo rispetto ai 500 miliardi a sua disposizione e quindi a farlo funzionare al meglio. 
A Palazzo Chigi e dintorni, però, guai parlare di asse franco-italiano o, ancora peggio, di accerchiamento ai danni di Frau Merkel. Pesano le questioni tattiche – non urtare i tedeschi – ma soprattutto culturali. Chi accompagna Monti in Europa spiega che per il premier il tour di gennaio (Parigi, Berlino, Londra e poi la trilaterale di Roma con i Merkozy) serve a «ridurre le diffidenze che si accumulano nei momenti di crisi, a capire e farsi capire». C’è un aneddoto che rende l’idea: venerdì a pranzo il primo ministro francese Fillon ha chiesto a Monti quando il Salva Italia e la riforma delle pensioni sarebbero stati approvati. Il Professore ha garbatamente fatto notare che sono legge dal 23 dicembre. Questo per spiegare che confrontarsi con i partner porta a limitare le incomprensioni e a trovare soluzioni. Un lavoro nel quale Palazzo Chigi crede molto, tanto da far costantemente notare l’approccio finalmente sistemico alla missione europea di Monti, preparata nei minimi dettagli dal suo staff e dal ministro per le Politiche Ue Enzo Moavero, che già  domani sarà  a Londra per apparecchiare la bilaterale del 18 con Cameron.

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