Howard Gardner. “Un patto fra generazioni ci salverà  da falsità  e credenze”

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Sono ormai in molti a sostenere che la lunga parabola del postmodernismo è entrata nella sua fase discendente e il dibattito aperto dai filosofi neo-realisti proprio su queste pagine sta a dimostrarlo. Tanto più pressante, dunque, si fa la necessità  di ragionare su tutte le questioni che il movimento postmodernista, assieme festoso e sciagurato, aveva disatteso o negato. A cominciare dalla più importante: la ricerca della verità , che poi è sorella stretta del concetto di realtà . 
Per farci aiutare in questa indagine, inizieremo dal volume dello psicologo americano Howard Gardner: Verità , bellezza, bontà . Educare alle virtù nel ventunesimo secolo (Feltrinelli, pagg. 224, euro 20, traduzione di Virginio B. Sala). Famoso per i suoi studi sull’intelligenza, Gardner insegna Scienze cognitive e dell’educazione alla Harvard University, ed è uomo di vastissime letture e molteplici competenze disciplinari. 
Professore, proviamo a concentrare l’attenzione sulla verità , la prima delle tre virtù che lei ripropone per il ventunesimo secolo. Tanto più difficili da far proprie, visto il potentissimo incrocio tra postmodernismo e media digitali.
«È proprio da lì che prendo le mosse. Dapprima il postmodernismo ha rimosso il tema della verità , riducendolo a mera preferenza di chi detiene il potere in un dato momento, poi il web ci ha messo del suo prendendo per buono tutto ciò che appare su Wikipedia, senza alcuna prova fattuale. Però, proviamo a vedere la questione da un’angolazione differente. Se la verità  è essenzialmente una proprietà  degli enunciati, ed esistono diversi metodi per raggiungerla, a seconda delle diverse discipline in campo, oggi è più facile avvicinarsi ad essa rispetto a quanto accadeva in passato. Un tempo avevamo meno informazioni e pochi detenevano quel potere che stabiliva cosa è vero e cosa è falso. Adesso, a meno che lei non abiti nella Corea del Nord, le cose non stanno più così. Naturalmente, se vuole ignorare una certa questione può benissimo farlo, ma se è interessato a sapere come sono andate le cose in Libia o su come vengono effettuati determinati trattamenti medici, avrà  a disposizione una massa enorme di dati. Questo non significa che la verità  venga automaticamente a galla, ma che abbiamo più armi per trovare una convergenza su ciò che è effettivamente accaduto». 
La prima distinzione che lei opera è tra verità  della conoscenza e verità  della pratica.
«L’uomo della strada, indicando un oggetto, può dire: questo è argento e non oro. Ma se io sono uno scienziato, attraverso un’analisi atomica, posso dimostrare più a fondo il senso di quella differenza. La prima è una verità  legata alla pratica, la seconda alla conoscenza. Inutile aggiungere che sia l’una che l’altra non hanno nulla a che fare con la verità  di tipo religioso, dove si crede a qualcosa perché qualcuno ce l’ha detto, non sulla base di un test esperienziale o cognitivo». 
Torniamo ai media digitali. Come scremare le informazioni che vi sono contenute se non si è sorretti da un’idea condivisa di autorità  e di competenza?
«È il problema principale delle generazioni più giovani. Spesso i ragazzi non fanno alcuna differenza tra quanto compare in un blog e l’inchiesta di un reporter professionista. Sia ben chiaro, anche il New York Times compie degli errori, però li riconosce e comunque i redattori sono lì per controllare e vagliare l’articolo che verrà  pubblicato. Per questo mi fido del New York Times o del Washington Post. Perché riconosco a tali imprese un’autorevolezza che si tramuta poi in affidabilità . Sia ben chiaro, quanto dico non mi fa dimenticare l’egregio lavoro di tanti blogger, che sovente possono superare in qualità  quello dei giornalisti di professione, essendo meno condizionati di loro». 
Diverse verità  a seconda dei diversi metodi adottati. Prendiamo due discipline agli antipodi: la matematica e la storia.
«Ognuno sa che la verità  matematica è la più certa, perché la più logica, la più formalizzata. Indifferente a tutte le variabili del mondo fisico. Però anche qui non esistono verità  assolute, perché l’affermazione secondo cui due rette parallele non si incontrano mai vale per la geometria euclidea, non in quella non euclidea. Ma la principale differenza corre tra le ricerche di ambito fisico-biologico e quelle sociali. Nelle prime, gli oggetti di studio non sono soggetti ai risultati della nostra ricerca: le piante continuano a crescere e la rotazione terrestre non muta in relazione ai risultati scientifici ottenuti. Nell’ambito delle scienze sociali, invece, le opinioni che abbiamo di determinati fenomeni modificano i fenomeni stessi, come risulta chiarissimo in ambito economico. Quanto infine alla storia, mentre è evidente che ci sono dei fatti rispetto alla cui veridicità  siamo sicuri, come il giorno della morte di John Fitzgerald Kennedy, è altrettanto evidente che ogni generazione riscrive il passato perché lo vede e lo giudica secondo la propria prospettiva. La storia dell’impero romano insegnata oggi in America è senz’altro diversa da quella di ottant’anni fa, non perché si sappia molto di più di quel periodo, ma perché da un certo punto in avanti l’America ha pensato di essere diventata essa stessa il nuovo impero romano». 
L’idea iniziale di verità  è legata al senso comune. Lei però ne rimarca la costitutiva insufficienza.
«Basta al massimo per la sopravvivenza. Se sono un bambino e cado in un fosso, non per questo apprendo qualcosa in ordine alla forza di gravità . La prossima volta starò più attento soltanto perché non voglio farmi del male. Affidandoci soltanto ai sensi, non possiamo fare molta strada. L’ho scritto nel libro e lo ripeto qui, più o meno con le stesse parole. Il modo migliore per stabilire lo stato di verità  in un’era postmoderna e digitale consiste proprio nel mostrare la potenza ma anche il limite della conoscenza sensoriale. Impone di insegnare i metodi adottati dalle varie discipline per arrivare alla loro spiegazione del mondo e alla loro verità . Di illustrare il valore dell’esperienza e della competenza. Così come, per converso, di sottolineare tutte le forme di irrazionalità  e pregiudizio degli esseri umani, con tutti i rischi che ne conseguono». 
Come si evolve il rapporto con la verità  a seconda delle diverse fasi della vita?
«Nel bambino credere in una cosa e contemporaneamente nel suo opposto non costituisce problema. E dunque il ruolo dell’educazione è quello di mostrare come certi convincimenti possono entrare in conflitto tra loro. All’adolescente, invece, la scuola dovrebbe mostrare innanzitutto che le verità  incontrate nei testi non vengono dal cielo e non valgono per sempre. Sono soggette a continua trasformazione e sono differenti a seconda delle diverse discipline. La difficoltà , naturalmente, sta nel far convivere tale varietà  e mobilità  in un quadro unitario, senza cedere alla fiumana di informazioni e sovrapposizioni di un mondo ipersaturo». 
Lei sostiene che i giovani sembrano più interessati all’autenticità  e alla trasparenza di un messaggio che agli enunciati di verità  contenuti in esso. Non è anche questa una prova della costante battaglia tra conoscenza e credenza? La verità  rimanda alla conoscenza, ma è molto più facile affidarsi alla credenza.
«Purtroppo è così. Soltanto quando si sbatte personalmente il muso su una pagina del web che dice assolute falsità  sul nostro conto, si capisce quanto importante sia la verità  fondata sulla conoscenza. Senza dimenticare un altro aspetto del problema. Trent’anni fa non c’era la “familiarità ” con i potenti che ci pare di avere oggi grazie ai media. Si ritiene di conoscerli e dunque di poterli giudicare secondo i crismi, per l’appunto, di autenticità  e trasparenza. Magari quei tipi sono dei bastardi assoluti, ma se appaiono come persone a modo, ci basta e avanza».
Lei conclude il suo tragitto con una nota ottimistica. La comprensione di postmodernismo e media digitali, scrive, può ironicamente creare la possibilità  di una seconda età  dell’illuminismo. Perché?
«Credo che il passaggio storico in cui ci troviamo può offrire uno scambio inter-generazionale inedito e utile su entrambi i fronti. Oggi i “nativi digitali” possono insegnare a noi cose che noi non sappiamo, mentre noi possiamo offrire loro una metodologia di cui non dispongono. Malgrado tutto, i valori illuministici della tolleranza, dei diritti universali, della ricerca scientifica, sono validi ancor oggi. Ma oggi più di ieri, grazie a quell’incrocio inter-generazionale, possiamo esaltare un’idea di verità  quale somma di proposizioni messe alla prova più e più volte».


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