Quelle trivelle a Capo Colonna, lo scempio nella Magna Grecia
Di fatto il governo Monti concede alle multinazionali del petrolio e dell’energia di trivellare i fondali marini anche in aree preziose dal punto di vista ambientale e protette.
Nello specifico, per quanto riguarda la città di Crotone, questo provvedimento si inserisce in una politica che ha visto da decenni l’Eni estrarre nel tratto di mare a ridosso della costa crotonese e del promontorio di Capo Colonna circa il 15% del fabbisogno nazionale di gas metano, in una logica di costante sfruttamento del territorio, senza alcuna adeguata garanzia per i danni ambientali prodotti alla flora ed alla fauna marina e che provocano inoltre il fenomeno della subsidenza – sprofondamento ed erosione del territorio – senza nessuna tutela e con scarsa ricaduta economica per la comunità del crotonese.
Numerosi pozzi per l’estrazione del gas metano e tre piattaforme di proprietà dell’Eni, collocate a qualche miglio dal litorale crotonese, svettano nell’immediata prossimità dell’area marina protetta più grande d’Europa e di uno dei più importanti siti archeologici della Magna Grecia, il promontorio di Capo Colonna. A più riprese l’Eni ha realizzato interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria dei pozzi estrattivi a poche decine di metri dall’unica colonna dorica del tempio di Hera Lacinia rimasta in piedi. Va ricordato che in quell’area è impedita la realizzazione di qualunque opera che possa compromettere la stabilità stessa della colonna e la conservazione dell’area archeologica.
Crotone aspetta da circa quindici anni la bonifica dell’ex area industriale da parte dell’Eni. Le industrie del polo chimico dismesso, infatti, hanno provocato un inquinamento fortissimo a danno dei lavoratori, di tutto il suolo ed il sottosuolo interessato dagli impianti, dello specchio di mare adiacente, delle falde acquifere e dell’aria che respiriamo. Oggi, inoltre, a seguito dell’inchiesta della magistratura crotonese, si scopre che i materiali di risulta di quelle produzioni chimiche sono stati utilizzati per costruire edifici pubblici e privati. Il danno ambientale è quantificato, secondo una perizia di parte commissionata all’Apat dal ministero dell’Ambiente, in 1.920 milioni di euro che, sommati alla richiesta di risarcimento della Regione Calabria, fa un totale di 2.720 milioni di euro che l’Eni deve pagare per la bonifica dei siti indebitamente inquinati.
* Presidente Arci Crotone
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