Quel filo rosso che lega la Val di Susa a Roma

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Che aggiunge: «C’era un piano». E garantisce: «Ci siamo limitati a chiedere l’arresto per gli attori identificati con certezza». Parla di attori. È certamente un film.

O, come diceva ieri mattina uno degli arrestati, «un momento in cui mi sono fatto prendere la mano». Ma c’è una regia? Di chi? LA REGIA emerge dalle carte di un provvedimento che ripercorre ora per ora le due giornate di scontri a Chiomonte, il 27 giugno e il 3 luglio scorsi.

IL BOOK Nelle 238 pagine di ordinanza il gip non si sbilancia in teoremi. Si limita ad elencare i fatti e ad allegare a ogni nome una o più fotografie scattate mentre il protagonista lancia sassi, svuota estintori, scaglia tronchi d’albero contro polizia e carabinieri. Un book che stride molto con l’immagine pacifica che il movimento contro il supertreno ha sempre voluto dare di sé. C’è la storia di un ufficialmente pacifico consigliere comunale di un paesino della valle, Villarfocchiardo, Guido Fissore, che «colpendo ripetutamente con una stampella utilizzata come bastone due agenti della polizia di stato, cercava di impedire la rimozione di una barricata». Un peccato veniale rispettoa quelli di coloro che vengono immortalati mentre «lanciano secchi di vernice, bottiglie di ammoniaca, pietre, petardi, bombe carta». Nel book ci sono anche le doppie fotografie. Perché molti si limitavano a coprirsi il volto prima di attaccare la polizia e poi lo scoprivano subito dopo. Finisce così in carcere Andrea Vitali, responsabile di Rifondazione a Torino. A volto scoperto è un pacifico manifestante con la t-shirt e la scritta “Qeenstown”. A volto coperto prende a sassate la polizia e usa un wc per bloccare una colonna di mezzi. Naturalmente sempre con la scritta “Queenstown” sul petto. I PENDOLARI Sono cinque, dicono gli investigatori torinesi. Assicurano che nel gruppo degli arrestati, alcuni hanno anche partecipato agli scontri di piazza San Giovanni, a Roma. Pendolari della guerriglia dunque, persone che hanno utilizzato la val di Susa come palestra. I pm ripetono che «solo tre dei 25 arrestati sono della valle».

Perchéè importante, dicono, non fare confusione tra il dissenso e la guerriglia. Ma allora che cosa ci facevano 22 stranieri, nel senso di non valligiani, nel branco a volto coperto che ha dato l’assalto al cantiere? Perché erano saliti in valle in quei due giorni? «Se uno si deve addestrare – risponde l’investigatore – dove va? A Napoli nella rivolta sui rifiuti finirebbe di scontrarsi con la Camorra. A Ederle, dove c’è la base americana, è troppo rischioso. L’unico luogo italiano in cui si può sperimentare è questa valle».

IL PIANO «Sembrerebbe quasi trattarsi delle regole di una gioco di ruolo di guerra ambientato in un contesto in parte medievale». A pagina 51 dell’ordinanza il gip descrive così gli appunti trovati durante la perquisizione a Francesco Parisio, un militante fermato nei giorni successivi agli scontri. Un appunto meticoloso con «i mezzi per resistere allo sgombero: barricate invalicabili e barricate mobili». E «i mezzi per assediare il cantiere». Quegli appunti non sono l’idea di un maniaco ma la trama precisa degli scontri che si svolgono il 27 giugno e il 3 luglio a Chiomonte. Tanto che di «un piano» parla più avanti lo stesso gip quando osserva che «c’era addirittura un segnale convenzionale che alle 11,30 aveva dato l’avvio ai disordini, l’eco dell’esplosione di artifici pirotecnici».

I REGISTI L’ordinanza è asettica ma la domanda è implicita. Se il movimento controlla, come sostiene, ogni metro quadrato della valle, com’è possibile che nessuno si sia accorto della presenza degli uomini e delle donne dell’ordinanza? Com’è possibile che arrivino ex terroristi e black block da ogni parte d’Italia contro la volontà  dei no Tav? Ancora ieri in conferenza stampa Giancarlo Caselli, che ben conosce i rischi di corto circuito in una situazione di questo genere, ha voluto sottolineare che «nessuno intende criminalizzare un dissenso legittimo sull’alta velocità ». Prudenza comprensibile. Ma la domanda sulla regia e le responsabilità  resta. Perché se invece almeno una parte del movimento ha accettato il supporto logistico e criminale dell’esercito mascherato, nessuno a sinistra potrà  cavarsela gridando alla repressione. E dovrà  spiegare quali accordi inconfessabili sono stati presi in questi mesi nelle retrovie dei cortei che partivano pacifici e finivano in guerriglia. «Quel che si legge – aggiunge un inquirente – è la crosta visibile, quel che abbiamo dovuto far emergere per non dare l’idea che si possa impunemente assaltare i cantieri. Ma sotto la crosta c’è dell’altro».

La magistratura indagherà  assolverà  e condannerà . Ma da ieri, sfogliando l’album di famiglia dell’ordinanza che impone gli arresti, nessuno può più dire che la questione della violenza nella lotta della Val di Susa sia un problema secondario e irrilevante.


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