QUEL CHE ICHINO NON HA VISTO

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Innanzitutto, stupisce constatare l’ennesima discriminazione della direzione Fiat che concede al senatore il privilegio di varcare i cancelli e girare in tutta la fabbrica, permettendogli di parlare con i lavoratori delle proprie condizioni, mentre è negato agli operai e alle impiegate eletti nelle liste Fiom in tutti gli stabilimenti Fiat il diritto di essere Rsu e addirittura, a Pomigliano, di entrare in fabbrica. A oggi nessun iscritto della Fiom è stato richiamato al lavoro a Pomigliano. È un caso? No, il motivo risiede in una sentenza che ha condannato la Fiat per comportamento antisindacale (art. 28 della Legge 300): nel caso dovessero richiamare al lavoro un iscritto alla Fiom, questo potrebbe essere eletto e nominato Rsa. È questa la ragione per cui alla Fiat crea più problemi l’ingresso di un operaio «con la terza media» sul suo posto di lavoro che di un docente universitario, seppur senatore.
La vita in una fabbrica non si può giudicare in un passaggio di qualche ora come in una visita guidata allo zoo perché, nonostante la descrizione del professor Ichino, anche negli stabilimenti Fiat ci sono gli infortuni ed è impedita alle Rls Fiom la possibilità  di spostarsi dalla propria postazione, e se quel lavoratore decide di farlo è sanzionato con provvedimenti disciplinari. Non è un’eccezione, è la regola per tutte le 86 mila maestranze e il professor Ichino sostiene essere un bene per il futuro industriale del nostro paese, in particolare nel sud, dimenticando che dallo stabilimento di Pomigliano sono fuori 4000 dipendenti e che a Termini Imerese e all’Irisbus neanche il professore può entrare, perché la Fiat ha deciso di chiuderli.
Parliamo del salario: è vero o no che la paga oraria con l’ultimo «accordo» istituisce un doppio regime tra eventuali neoassunti e lavoratori in forza, avendo trasformato le indennità  di mansione in superminimi individuali? È vero o no che per avere il premio bisogna non essere in maternità , in legge 104, non esser stati in malattia, non aver usufruito di permessi, perché l’obiettivo del premio è stabilito sulle ore effettive di lavoro e sono escluse anche le pause? Professor Ichino, lei che come sostiene vede molte fabbriche metalmeccaniche, sa quali sono i minimi tabellari del contratto nazionale? Mi dica a parità  di mansione quanto guadagnerebbe in più, in via del tutto teorica visto che a Pomigliano si fa cassa, un lavoratore di Pomigliano rispetto a uno di un’altra azienda? È vero o no che a regime l’orario aumenta rispetto a un altro lavoratore a parità  di mansione? E ancora, è una deroga marginale (le chiedo a che cosa, visto che la Fiat non applica il contratto nazionale) aumentare strutturalmente l’orario, ridurre le pause, intervenire sulla malattia? Infine, chiedo come mai, se tutti sono così felici nel nuovo Eden Fiat, decine di migliaia di lavoratori hanno raccolto le firme per un referendum abrogativo dell’accordo? E perché quei lavoratori non ricevono risposte, mentre proprio a Pomigliano, quando la direzione ha imposto il referendum con il ricatto della chiusura, in molti applaudivano alla democraticità  della moderna Fiat? La risposta è che si voleva un plebiscito, che i lavoratori non hanno dato, per dimostrare che la democrazia è una concessione del sovrano. Di un piano industriale Fiat han bisogno i lavoratori e l’intero paese per uscire dal ricatto occupazionale. In altri paesi europei non sono concessi i privilegi dati alla Fiat come l’art.8, varato dal governo precedente e non messo in discussione dall’attuale. Leggi antidemocratiche e illiberali devono essere oggetto di azioni legali.
Ci sono aspetti gravi che riguardano il rapporto tra la democrazia e il lavoro. Non è possibile scambiare diritti e democrazia con il lavoro, ma in Italia e in particolare al sud il modello Fiat rende legale il ricatto che accomuna i giovani precari con gli operai poveri. Non nel sottoscala ma nel centro di Barletta e alla luce del giorno le operaie morte per il crollo dello stabile guadagnavano pochi euro. Non bastano le tute bianche pulite e il parquet, se per entrare in fabbrica si è costretti a lasciare all’ingresso la dignità . Basterebbe una legge che garantisse la democrazia della rappresentanza, non alla Fiom, noi non amiamo le leggi ad personam, ma ai lavoratori perché possano decidere liberamente. Non sottostare al ricatto, questa è la lezione degli operai di Pomigliano e della Fiat e dei metalmeccanici, che insieme a studenti e precari scenderanno in piazza a Roma l’11 febbraio per chiedere la «democrazia al lavoro».
* Fiom-Cgil


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