QUANDO UNA RIVISTA PER STRANIERI SA RACCONTARE LA NOSTRA CULTURA
«Nei confronti dell’Italia è insorta in Europa, e non solo in Europa, una grave crisi di sfiducia. Dobbiamo esserne consapevoli e sentircene, più che feriti, spronati nel nostro orgoglio e nella nostra volontà di recupero».
Queste parole di Giorgio Napolitano pronunciate poco tempo prima della caduta del governo Berlusconi, mi invitano a una riflessione, non so se all’insegna del paradosso o del contrappasso. Perché nonostante tutto, cioè nonostante che in Italia la cultura sia stata sistematicamente demolita, è anche vero che in alcuni paesi esteri, laddove ha operato una diplomazia culturale di alta qualità , è stata fatta emergere con un insolito rilievo. Per esempio l’Istituto Italiano di cultura di Parigi, diretto negli ultimi anni da Rossana Rummo, ha proposto ai francesi una cultura italiana talmente effervescente e vivace (cinema, teatro, presentazioni di libri italiani, mostre fotografiche) da renderlo uno dei luoghi obbligatori di Parigi. Oppure, se vi capita di entrare in una grande libreria di Stoccolma, potete trovare in bella mostra delle copertine con un mosaico di volti dei più giovani scrittori e poeti italiani, di attori e drammaturghi del migliore teatro italiano contemporaneo, dei più importanti cineasti attuali. E accanto a loro un’elegantissima collana bilingue di narrativa e poesia. A cosa si deve questo miracolo? Semplice, al fatto che mentre in Italia la nostra cultura veniva “essiccata”, in altri paesi essa veniva coltivata come una pianta rara da “missionari” che ben sanno quanto la cultura possa costituire l’immagine di un paese. Nel caso di Stoccolma, il principale artefice di una “missione” riuscita è Paolo Grossi, direttore dell’Istituto Italiano di cultura.
Conosco Paolo Grossi da molti anni, allorché era Attaché culturel all’Ambasciata italiana di Parigi, dove dirigeva (e ancora dirige) quella preziosa collana che sono i “Quaderni dell’Hà´tel de Galliffet”. Per evitare di scendere sul piano personale dell’amicizia e della stima che nutro per lui, mi limiterò a riferire un brano della motivazione della giuria del Premio Dessì che quest’anno lo ha premiato per il suo lavoro: «L’attenzione e la passione con cui si è impegnato su una cultura di grandissima tradizione come quella italiana, troppo spesso dimenticata perfino dai suoi ufficiali rappresentanti, costituisce un luminoso esempio di quanto si possa fare, anche con esiguità di mezzi, per il riconoscimento di valori culturali sicuri e per la diffusione e la difesa del nostro patrimonio culturale all’estero››.
Arrivato a Stoccolma nel 2008, Paolo Grossi, che parla anche lo svedese (ha cominciato la sua carriera insegnando all’Università di Uppsala e sua moglie è svedese), ha ideato una rivista semestrale bilingue che offra al pubblico locale quanto di meglio produce la cultura italiana delle ultime generazioni, cioè quella che in questi anni ha dovuto esprimersi nell’ambiente dichiaratamente ostile del sistema di governo che ha dominato l’Italia. La rivista si chiama Cartaditalia ed è giunta al sesto numero. Premetto che faccio parte (peraltro immeritatamente) del comitato scientifico, assieme con intellettuali e scrittori italiani e stranieri che stimo quali, per citarne solo alcuni, Maurizio Ferraris, Claudio Magris, Martin Rueff o Carlo Ossola. Ma credo che questo non mi vieti di essere obiettivo.
Passo a una sintetica descrizione di Cartaditalia. Il primo numero (2009), curato da Domenico Scarpa, è dedicato alla nuova narrativa italiana. Presenta dieci scrittori con esaurienti schede critico-biografiche e alcune pagine di un loro romanzo o racconto in italiano e in svedese. Regola di scelta ferrea per tutti gli scrittori presentati: che nessuno di loro sia tradotto in svedese. Tre nomi a caso fra i dieci prescelti: Andrea Bajani, Valeria Parrella, Vitaliano Trevisan. Il numero è andato a ruba nelle librerie di Stoccolma, perché per la prima volta il lettore svedese ha potuto avere una panoramica della giovane narrativa italiana che forse avrebbe avuto solo in maniera sporadica e casuale. Il secondo numero, Undici poeti italiani contemporanei (qualche nome a caso: Giampiero Neri, Jolanda Insana, Patrizia Cavalli, Eugenio de Signoribus) è stato curato con eccellenti schede critiche da un noto studioso di letteratura italiana come Martin Rueff, mentre la traduzione in svedese è stata affidata ai migliori traduttori.
Il terzo numero, Dieci anni di cinema italiano, curato da Jean A. Gili, presenta, fra i ventitré cineasti prescelti, artisti conosciuti ovviamente anche in Svezia (per esempio Bellocchio, Amelio, Moretti, Soldini, Benigni o Tornatore); ma visto il disinteresse in cui il cinema italiano è caduto in Europa, Cartaditalia ha sicuramente contribuito a risvegliare la curiosità dei neghittosi distributori svedesi. Il quarto numero, Il nuovo teatro italiano, curato da Guido Davico Bonino, insieme a un paio di autori già rappresentati in Svezia come Edoardo Erba e Giuseppe Manfridi, presenta le nuove tendenze del nostro teatro fino agli autori più giovani come Ascanio Celestini o Fausto Paravidino. Il quinto numero, curato da Gilles Pécout, ha per titolo L’unità d’Italia, tema quasi obbligatorio dato l’anniversario di quest’anno. Ma Paolo Grossi ha evitato il luogo comune dedicando il numero ad alcune città d’Italia fondamentali nel processo unitario. L’ultimo numero (novembre 2011), bellissimo anche graficamente, si chiama La nuova fotografia italiana, è curato da Elio Grazioli e ospita i nostri giovani fotografi di diverse tendenze. Il prossimo numero sarà dedicato ai nuovi compositori italiani.
Ma Cartaditalia non è un’iniziativa isolata. Paolo Grossi le ha affiancato una piccola ed elegantissima collana letteraria (è stampata in Italia da “Nuvole”, ad Alessandria) di autori già tradotti in svedese con libri che però l’editoria tende a trascurare. Perché se il grande editore pubblica volentieri Le città invisibili di Calvino o Petrolio di Pasolini, è meno invogliato a pubblicare Perché leggere i classici o Amado Mio. E dunque, insieme a un Calvino e a un Pasolini considerati “minori”, troviamo Alfabeti di Magris, San Silvano di Dessì, I volatili del Beato Angelico del sottoscritto, La ronda dei conversi di Eugenio de Signoribus, le raccolte più raffinate di Zanzotto e Tutte le poesie di Primo Levi.
Credo che Paolo Grossi stia finendo il suo mandato in Svezia. Non so che sorte toccherà alla sua rivista e alla collana che l’accompagna. Come sarebbe civile e intelligente, “per una nostra volontà di recupero”, come auspica il capo dello Stato, aprire sul mondo, e in lingue più accessibili, questa finestra di cultura italiana che Grossi ha aperto in Svezia, magari trasformandola in una rivista online che porti dappertutto la buona novella che in Italia esiste una cultura di grande vitalità e originalità che avremmo tutto l’orgoglio di far conoscere.
Ma nonostante le lodevoli iniziative di alcuni nostri diplomatici di carriera (ne conosco molti, così come so di altri mediocri personaggi di nomina esclusivamente politica “piazzati” in grandi capitali più per danneggiare la cultura che per favorirla), ciò che fornisce l’immagine del nostro paese è soprattutto quello che accade nel nostro paese. Perché gli inviati della stampa estera in Italia hanno giustamente diffuso nei loro paesi soprattutto le idiozie che una televisione di Stato umiliata e umiliante trasmette; hanno comunicato le volgarità con cui un impero mediatico assolutamente anomalo in Europa ha aggredito i migliori intellettuali e artisti italiani perché “dissidenti” da una stampa di famiglia.
Che lo si voglia o no, oggi l’Italia è, per il mondo civile, il paese in cui si è sparato ai neri e si sono bruciati i campi rom. È il paese in cui ministri secessionisti che lavoravano come talpe all’interno dello Stato hanno liberamente diffuso la peste del razzismo. È il paese in cui un ex ministro dell’Interno dichiaratamente anti-italiano ha violato i diritti umani, attirandoci perfino le critiche dell’Onu. Insomma, il mondo ci guarda come un paese imbarbarito. Finché i responsabili di questa deriva antropologica e culturale non saranno messi davvero in condizione di non nuocere ed espulsi dal corpo politico e sociale, la crisi di sfiducia insorta nei confronti dell’Italia non cesserà , anzi, si aggraverà , perché non dipende soltanto da una crisi economica ma da una cultura di qualità sopraffatta da una sub-cultura diventata egemone.
L’Italia è un paese che non ha mai smesso di dare al mondo il suo genio, il Bello, l’arte che ci è quasi naturale. Ma quando l’empietà e l’ignoranza prevalgono, è arduo sentirsi spronati nell’orgoglio di una volontà di recupero. Siano lodati quelli che nutrono ancora questa volontà .
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