by Editore | 7 Gennaio 2012 7:52
ROMA – «È stato un incontro all’insegna della più sincera cordialità , della determinazione di lavorare insieme in termini estremamente pratici e concreti, della stima e del rispetto reciproci». Insomma, è cambiato veramente tutto rispetto a quando il premier era un altro? «Accidenti, sembra di vivere in un altro mondo». Sorride Jean-Paul Fitoussi, economista dell’Institut d’Etudes Politiques di Parigi e profondo conoscitore delle vicende europee. Conosce Mario Monti da una vita e ieri pomeriggio l’ha accompagnato dal centro Pierre Mendes-France, dove entrambi avevano partecipato al convegno Nouveau Monde, fino all’Eliseo. «È stata una giornata intensa ma molto importante e positiva», ci racconta in serata.
Qual è il maggior risultato?
«Oggi c’è sicuramente molta più intesa e identità di vedute fra Italia e Francia che fra Francia e Germania. Bisognerà fare fronte comune perché finalmente si sblocchi la situazione europea. Che è gravissima, e ogni giorno che passa si aggrava. Salvare la Grecia, per esempio, costerà infinitamente di più di un intervento tempestivo tre anni fa, e anche salvare l’euro».
Su quest’ultima ipotesi ci possiamo contare?
«Direi ancora di sì, certo occorre che finalmente ci si muova in modo incisivo uscendo dalla paralisi decisionale che incredibilmente continua, come se si fosse in attesa di chissà cosa. Bisogna forzare le rigidità tedesche su due punti: dare alla Bce il potere di fare prestiti agli Stati acquistandone i buoni all’emissione quale lender of last resort, e quindi modificare in tal senso i trattati, e varare gli eurobond. Italia e Francia a questo punto sono allineate: vedremo nell’incontro di Roma se ce le faranno a convincere il cancelliere. Speriamo. In caso contrario la speculazione continuerà a spadroneggiare. Non vi stupite se lo spread resta così alto: gli speculatori hanno scoperto questo punto di vulnerabilità , così come un tempo operavano sui cambi. Finché non verranno attuate le due misure di cui parlavo, e ci si limiterà a fare affidamento su un fantasma come l’Efsf, il fondo salvastati sottocapitalizzato e paralizzato, continueranno a martellare senza pietà . Il termometro di questa tensione, che non può durare a lungo, sono le banche: prendono i soldi dalla Bce ma poi lì li parcheggiano perché non hanno neanche la fiducia per prestarseli l’un l’altra, figuriamoci alle imprese».
Italia e Francia faranno anche pressioni perché sia allentata la “morsa del 60%” nel debito-Pil?
«Sicuramente. Guardi che non è stato definito nulla: si dice che il debito dovrà rientrare in quel limite ma non si sono ancora decisi i tempi. Altrettanto importante, altra partita non ancora chiusa che andrebbe inserita nel fiscal compact, è escludere gli investimenti dal calcolo del deficit. Altrimenti per rientrare nel 3% nessun Paese potrà più investire. Nel 2003 scrissi “Il dittatore benevolo” sostenendo che noi europei, chissà per quale perversione, accettiamo la dittatura di una serie di regole senza le flessibilità che dovrebbero essere dettate da una crisi: il patto di stabilità , la Bce che non può prestare agli Stati, la commissione che impedisce di fare politica industriale perché blocca i vantaggi fiscali a qualsiasi industria che un Paese identifica come strategica. Di tutto questo dobbiamo liberarci, certo con ragionevolezza: questo raziocinio lo possono portare leader seri e credibili in grado di gestire con intelligenza politica questa fase drammatica e totalmente differente da tutte quelle che l’hanno preceduta. Ora tutti e tre i principali Paesi dell’euro hanno capi all’altezza: è tempo che prendano coraggio».
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