“Roma chiese ai tedeschi di insabbiare le indagini sulle Fosse Ardeatine”

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BERLINO – I governi democristiani del dopoguerra chiesero alla Germania di Adenauer di fare di tutto per insabbiare le indagini sul massacro delle Fosse Ardeatine. Roma e Bonn agirono da complici, e l’iniziativa venne da parte italiana. La grave accusa viene lanciata dallo storico tedesco Felix Bohr, già  noto per aver documentato in un libro la sistematica adesione e correità  della diplomazia tedesca con il Terzo Reich.
Le prove, scrive Bohr su un portale online degli storici (www. clio-online.de) sono tutte nell’archivio dello Auswaertiges Amt, il ministero degli Esteri federale. Un epistolario scioccante, egli commenta. Dopo il processo e la condanna del colonnello delle SS Kappler nel 1948, l’obiettivo comune era «un insabbiamento auspicato dalla parte tedesca come da quella italiana», annotò soddisfatto undici anni più tardi il consigliere d’ambasciata Kurt von Tannstein. Uno dei tanti ex nazisti “sdoganati” nella Germania Ovest di Adenauer sullo sfondo della guerra fredda: si era iscritto alla Nsdap, il partito nazionalsocialista di Hitler, nel 1933, ed era entrato nella carriera diplomatica sotto Joachim von Ribbentrop, il ministro degli Esteri del Reich. L’iniziativa partì dalle autorità  italiane, nei tardi anni Cinquanta. «Non appena il primo criminale di guerra tedesco verrà  consegnato», avvertì in una missiva un diplomatico italiano secondo la ricostruzione di Bohr, «arriverà  una valanga di protesta da ogni paese che richiede l’estradizione di criminali di guerra italiani». In guerra a fianco di Hitler dal 1940 all’8 settembre 1943, come è noto, l’Italia si macchiò di crimini di guerra nell’allora Jugoslavia, in Albania, in Grecia.
Nel 1958, cominciò secondo Bohr l’eliminazione o l’archiviazione di documenti compromettenti negli uffici della giustizia militare. L’anno dopo i giudici cominciarono a indagare sulle Ardeatine. Il procuratore Massimo Tringali, scrive Bohr, visitò l’ambasciata della Repubblica federale per portare formali richieste d’indagine. Secondo l’ambasciatore Manfred Kleiber «fece chiaramente capire che da parte italiana non c’era interesse a riportare in pubblico il problema dell’esecuzione di ostaggi e specie alle Fosse Ardeatine (…) non era ritenuto auspicabile per generali motivi di politica interna (…) per questo egli sarebbe soddisfatto se gli uffici competenti tedeschi, dopo verifiche doverose, saranno nella posizione di confermare alla Procura militare di Roma che nessuno degli indagati è più in vita oppure che risultano non rintracciabili, oppure non identificabili per imprecisa trascrizione del loro nome. Altrimenti, fu detto da parte italiana ai tedeschi, Bonn sarebbe stata libera di dire di non poter fornire le richieste informazioni».
L’ambasciatore Klaiber era stato anche lui membro della Nsdap dal 1934 e diplomatico sotto Hitler. Inviando le richieste italiane, appoggiò di suo pugno la «comprensibile richiesta» italiana di una «replica se possibile negativa». Il messaggio trovò il destinatario giusto a Bonn, al ministero degli Esteri: Hans Gawlik, anch’egli nazista dal 1933, e difensore di molti criminali nazisti al processo di Norimberga. Gawlik si adeguò al consiglio. Risultarono irriperibili responsabili delle Ardeatine come ad esempio Kurt Winden, che allora lavorava come responsabile giuridico della Deutsche Bank. I governi dc italiani, scrive Der Spiegel citando lo storico, si decisero a questa linea per non ravvivare la memoria della Resistenza, guidata soprattutto dal Pci, loro avversario politico.


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