“Meno polemiche, nuove collane e più italiani Mondadori deve essere solo una casa editrice”

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Dopo il meno 8,6 per cento del fatturato denunciato a fine settembre (ma a Natale ci sono stati segni di ripresa), sulla Mondadori splende un sole un po’ più tiepido e sulle copertine stanno per fiorire le rose. Ieri mattina a quel rito collettivo e un po’ scaramantico che è la “presentazione alla rete vendita”, in cui i capi delle case editrici devono convincere i librai di avere solo assi nel mazzo, Antonio Franchini, da un anno responsabile unico della narrativa Mondadori (italiana e straniera) si è presentato con una cartellina che contiene i primi 18 titoli della collana più importante di casa (“Scrittori italiani e stranieri”, per gli addetti “la Sis”), ridisegnata con un tocco antico, il logo della rosa con la scritta “In su la cima”, e uno attuale, formato un po’ più grande e immagini forti perché «all’epoca dell’e-book sulla carta premia la qualità  dell’oggetto libro. E evidenziare, anche ridisegnando una collana, il prodotto, è il problema che l’editore affronta sempre nel presentare le proprie scelte, soprattutto quando come nel nostro caso sono circa 100 i titoli ogni anno».
Troppi, come sostiene chi ha proposto una “decrescita felice” delle novità ?
«Che si pubblichi troppo lo sento dire da quando lavoro in editoria. Può essere che sia vero. Ma non c’è nessuna regola di buon senso secondo la quale a un minor numero di titoli debba corrispondere un innalzamento della qualità ». 
Un altro tema sono i prezzi bassi, che aiutano a vendere. Anche voi, con la collana “Le Libellule”, siete scesi a 10 euro. 
«Anche questo è un tema ciclico, se la ricorda la Bur degli anni ’50? E i Millelire di Baraghini? Con i 10 euro delle Libellule prendiamo atto che il mercato chiede in questo momento un prezzo più basso, ma le Libellule non vanno all’inseguimento della fascia di basso prezzo. Sono libri molto curati ed eleganti».
Secondo gli analisti l’anno scorso è mancato il cosiddetto “gigaseller” (come lo ha battezzato alla nascita l’ex direttore generale Mondadori Gian Arturo Ferrari): nessun Paolo Giordano, ma neppure Ken Follett o Gomorra. L’eccezione di fine anno è stato Fabio Volo, ma lei lo metterebbe nella Sis?
«Mai: non mi azzarderei a scatenare l’ira della mia collega della varia Gabriella Ungarelli… Ma scherzi a parte, anche il rapporto tra qualità  e grandi numeri va accostato con prudenza: un fenomeno relativamente nuovo è proprio il gigaseller di qualità , e in quei casi la percezione della qualità  letteraria è falsata dalla comunicazione».
Ma la narrativa letteraria italiana come sta? 
«Bene. Anzi, il fenomeno più importante negli ultimi cinque anni è l’incremento prepotente di libri italiani. È evoluta la cultura della fiction degli scrittori italiani. Non parlo tanto di qualità  artistica, ma di abilità  tecnica e narrativa». 
C’è un confine ancora netto? 
«Tra i 14 e i 18 anni, mi sono ammalato di letteratura. Più tardi, da editor, mi è rimasta memoria della malattia, però scegliendo non penso solo ai malati di letteratura, che nel testo cercano scoperte e verità  profonde, ma anche ai lettori e basta, al piacere di una bella storia. Oggi anche molti scrittori hanno imparato a pensare al lettore. Forse per la prima volta non è più vero quello che ci siamo detti per tanto tempo: che in Italia, mancando una grande tradizione romanzesca dell’Otto e Novecento, siamo più bravi nel racconto breve».
Di editing nella grande editoria se ne fa sempre di più… 
«Anche questo non è vero. A volte sono tentato di lasciar credere che siamo così bravi da poter fare bestseller a catena. Magari fosse così, ma mi tocca smentire».
Lavorare in Mondadori in questi anni sarà  stato stressante, con la casa editrice esposta a molte polemiche, col capo dell’azienda che attacca Saviano, altri autori in rotta di collisione politica e culturale con il suo proprietario…
«Non è stato un anno facile. Ma in 25 anni non ho mai ricevuto una telefonata dall’alto che mi dicesse di non fare o di fare un libro contro le mie convinzioni. Non farebbe altro che bene alla casa editrice essere un po’ meno sotto i riflettori. Le polemiche hanno anche dato sazietà , ho letto critiche da sinistra che dicevano: adesso basta con le crisi di coscienza degli autori mondadoriani. Fino a un certo punto sei solidale, poi ti stufi. E in questo mestiere ha una grande importanza la fiducia personale. L’editor rappresenta l’autore in casa editrice e viceversa, l’elaborazione delle fragilità  di chi è alle prese con un oggetto creativo come un romanzo richiede un rapporto molto stretto: nella narrativa non abbiamo avuto defezioni di autori». 
Mazzantini ha pubblicato l’ultimo libro da Einaudi, Pennacchi da Dalai.
«Mazzantini sta scrivendo un nuovo romanzo che uscirà  per Mondadori, Pennacchi penso che farà  con noi il prossimo, o il successivo».
E Saviano?
«Con Roberto ho un’amicizia che dura da tempo e l’amicizia resta. Ci sentiamo, ci mandiamo messaggi. Un contratto per un libro con noi c’è… Ma è ovviamente una questione delicata, il rapporto della casa editrice nel suo complesso con lui. Si vedrà ».
Nell’ultima ristrutturazione è saltato l’ex responsabile della saggistica Andrea Cane, lei come l’ha vissuta?
«Ho lavorato con Andrea per tanto tempo e il rapporto personale con lui resta, ma le ristrutturazioni esistono e sono sicuro che non c’è stata nessuna ragione ideologica nel suo allontanamento. Siamo direttori d’azienda, e il rapporto di lavoro dei direttori d’azienda è regolato così».
Tornando ai libri, nel gruppo di titoli tra gennaio e marzo che tendenze letterarie si intravedono?
«Varie, che come dicevo è una nostra caratteristica, e anche una caratteristica generale di una realtà  letteraria che non vede linee egemoniche ma compresenze. Tra gli italiani a febbraio c’è il secondo volume del dittico di Piperno. E Zaccuri, che in questo romanzo trova una misura più emotiva dei precedenti. C’è l’esordio a fine mese di Maria Paola Colombo, una trentaduenne direttrice di banca che ci aveva portato dei racconti e a cui abbiamo chiesto di provarsi nel romanzo, scritto in tre anni. E Michele Dalai, ad aprile, che è una vera sorpresa, il suo potrebbe essere davvero il libro generazionale sugli anni ’90. Tra gli stranieri Zafà³n, Delphine De Vigan e a fine mese Ayad Akhtar, un americano di Milwaukee di origini pakistane che è una magnifica e originale storia di rapporti tra culture diverse e d’amore».
L’unico americano su 18 novità , è singolare.
«Potrebbe essere un romanzo nostro. E mi sentirei di azzardare che presto avremo anche noi, con scrittori immigrati di seconda generazione, quel meticciato che ha alimentato altre narrative. Diversi altri autori intanto stanno lavorando a rendere in termini romanzeschi la crisi, anche di lì usciranno cose molto interessanti…». 
E il nuovo Paolo Giordano? 
«Potrebbe uscire nel 2012. Non avrebbe senso fargli fretta, è interesse di tutti che lo lavori bene».


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