by Editore | 9 Gennaio 2012 9:40
ROMA – Guerra ai furbetti del cibo («il caso-olio che avete denunciato è emblematico»). Ridare ossigeno ai produttori schiacciati dalle fauci della grande distribuzione e, adesso, anche dalla pressione del fisco. Salvare le aziende agricole, «patrimonio del Paese». E ancora: rilancio dell’ippica, fermezza sulle quote latte («anche a rate, ma devono pagarle tutti»), fondi europei di sostegno. Il ministro delle Politiche agricole, Mario Catania, anticipa a Repubblica le priorità della sua azione di governo per il 2012.
L’inizio anno non appare in discesa: la nuova tassazione per terreni agricoli e fabbricati rurali sta mettendo in allarme i produttori. Che cosa pensa?
«Opporsi, in un momento nel quale ognuno ha il dovere di fare la sua parte, è difficile. Ma lo sforzo chiesto al settore è troppo pesante. La stima fatta da Coldiretti – 1 miliardo – mi sembra attendibile. È una mazzata, anche perché il comparto agricolo era già in sofferenza. Parliamo di un settore dove il reddito medio degli addetti è inferiore alla media di tutti gli altri. I contadini non vanno a Cortina coi suv. Ma chi li sfrutta, magari sì».
Vuole dire che i produttori non sono pagati come dovrebbero?
«Sì. Rispetto ai colleghi europei i nostri hanno sempre più difficoltà a essere remunerati. È una delle partite sulle quali ci stiamo battendo a Roma. La grande distribuzione strozza chi produce le derrate alimentari. Bisogna fare funzionare meglio la filiera».
In che modo?
«Il fronte Bruxelles per la riforma Pac (politica agricola comune) è fondamentale: vuol dire 5,5 miliardi di sostegno per gli agricoltori italiani. Più una serie di nuove norme su etichettature e trasparenza nella tracciabilità dei prodotti. Renderemo più dura la vita ai furbetti del cibo».
Che intanto continuano a fare affari.
«È una guerra senza fine, l’unica cosa da fare è lavorare. Rispetto a 20 anni fa, quando non c’era nessuna normativa comunitaria in materia, oggi buona parte della filiera agroalimentare è tracciabile. Abbiamo vinto la resistenza delle lobby industriali a Bruxelles. Ma bisogna fare di più. Nel serbatoio dei taroccatori c’è di tutto: dal falso diretto e evidente, a forme più subdole di inganno. Tipo quelle di certi industriali che acquistano il prodotto all’estero e poi lo vendono come made in Italy».
È quello che fanno i signori dell’olio con il business delle miscele.
«Ho seguito con attenzione l’inchiesta di Repubblica. Premesso che non è una pratica illecita ma una speculazione antipatica che inganna chi acquista, questo meccanismo delle miscele non mi piace. Il grande danneggiato è il produttore. L’olio italiano è il migliore del mondo. Il paradosso è che non ne produciamo abbastanza: ci manca un buon 20% per coprire il fabbisogno nazionale. E quindi i nostri imprenditori che cosa fanno? Mischiano e ci marciano sopra. Così schiacciano i prezzi, e colpiscono il produttore. Difendendo quest’ultimo noi difendiamo anche il consumatore».
Stando a un’indagine del Corpo Forestale dello Stato e della Guardia di finanza, tra i furbetti dell’olio extravergine ci sarebbero anche marchi molto noti.
«Sulle indagini in corso non posso dire nulla, ma quello che a noi interessa è rendere pienamente tracciabile l’origine dell’olio, così come di tutti gli altri prodotti agroalimentari. Solo così possiamo stanare i furbi».
Il caso dell’olio taroccato è arrivato in Cina e le autorità doganali hanno bloccato le importazioni italiane. È preoccupato?
«Spero che la questione si risolva. Anche nell’interesse delle aziende che si sono buttate sul mercato cinese e che producono vero extravergine. Ma anche dobbiamo stare attenti alle importazioni. Penso ai nuovi vasi di mozzarella blu: hanno origine dall’estero. Vigileremo meglio sulle cagliate e il latte che arrivano da fuori».
Torniamo alle aziende agricole. Che cosa ha in mente per salvarle dalla morsa della grande distribuzione e dalle contorsioni del mercato?
«Oltre che produrre eccellenze italiane, le imprese agricole creano e curano il paesaggio rurale del nostro Paese. Sono i pittori di un quadro che attira ogni anno milioni di turisti. È possibile che gli unici a non guadagnarci siano proprio i produttori? Vanno sostenuti con contributi comunitari (tutti i 2,4 miliardi di PSR – programmi di sviluppo rurale – concessi alle Regioni sono stati erogati e utilizzati, ndr) e incentivati a lavorare senza ricorrere alla manodopera in nero».
L’agricoltura è uno dei settori con le percentuali più alte di addetti irregolari. E tra i più falcidiati dagli infortuni sul lavoro. Che fare?
«Aumentare i controlli e semplificare la normativa per le aziende. Di questo punto parlerò con la Fornero. Sconfiggere il lavoro nero è una battaglia di civiltà ».
C’è un’altra battaglia: il salvataggio dell’ippica. Come pensate di rilanciarla?
«Aprirò un tavolo con l’Economia per favorire un regime differenziato delle scommesse ippiche e un prelievo fiscale ad hoc per i gestori. Poi bisogna ricostruire l’appeal delle corse: gare di qualità , controlli più rigidi su doping e puntate. Ridaremo credibilità all’ippica. E le corse resteranno in Italia».
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