“Bruxelles aiuti l’Italia anche con le riforme la recessione sarà  dura”

by Editore | 9 Gennaio 2012 2:00

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ROMA – «Mario Monti sta facendo del suo meglio, ha una squadra di tecnici competenti e motivati che lavora in buona fede, gode di rispetto e stima internazionali. Rispetto al “prima” siamo agli antipodi. Certo, se fosse riuscito a inserire nel governo un paio di figure di rilievo dei partiti sarebbe più forte politicamente. Ma il punto è che l’Italia, come altri Paesi, sta entrando in recessione: non solo qualsiasi manovra fiscale l’aggraverà , ma perfino le riforme strutturali possono avere effetti negativi sul breve». Nouriel Roubini, economista della New York University attento alle vicende del nostro Paese, lancia un nuovo allarme: «L’Italia da sola non ce la può fare. È impossibile sormontare difficoltà  come le attuali o sperare che lo spread scenda, senza un convinto e incisivo sforzo europeo. Se mancherà , prima della fine del 2012 si riaprirà  il problema della sopravvivenza dell’euro».
Com’è possibile che le riforme siano “recessiogene”?
«Intendiamoci: sono necessarie per un Paese moderno ed efficiente, e fin troppo rimandate. Ma si inseriscono in un quadro così deteriorato che non potranno dispiegare i loro effetti positivi prima di qualche anno. Vanno fatte, ripeto, ma è meglio non aspettarsi risultati miracolistici, per esempio, dalle liberalizzazioni. Gli avvocati costeranno meno e ci saranno più taxi, ma se in giro ci sono sempre meno soldi e meno domanda, cosa cambia? Sul medio termine, e quando l’emergenza sarà  superata, allora tutto assumerà  un senso. E questo vale anche per l’articolo 18».
Lei si iscrive al gruppo che non vuole riformare lo statuto?
«È necessario dare più flessibilità  al mercato del lavoro, ma se questa riforma restasse isolata avremmo solo più licenziamenti e più disoccupati. Va inserita in un complesso ampio e organico, e va vista alla prova della ripresa. Oggi l’umore dei consumatori è pessimo, il purchasing managers index (indice composito dell’attività  manifatturiera) è negativo, le banche sono irrigidite verso le imprese, la domanda aggregata è bassissima».
Qual è la priorità  assoluta per sbloccare la situazione?
«Le misure di Monti sono corrette e indispensabili, ma il premier deve giocarsi la sua credibilità  per guidare l’intera Europa verso una ripresa coordinata e concordata. Non basta, anzi equivale ad un sforzo immane che può risultare vano, accanirsi sul debito». 
Il rinvio del pareggio di bilancio è un’opzione da considerare?
«Direi di sì. La disciplina è fondamentale ma non si può fare tutto too fast too soon, traumaticamente. L’ha detto la Lagarde, che non è certo un’estremista. Intanto va creato un solido fondo europeo permanente più capitalizzato e forte di quello prospettato, in grado di intervenire immediatamente fornendo liquidità  a chi perde l’accesso al mercato se lo spread finisce fuori controllo. Per capirci, in Italia siete al limite. Ma la chiave resta la crescita. I Paesi con margini di manovra come la Germania devono farsi promotori di iniziative per lo sviluppo. Sono tedesche le maggiori imprese di costruzioni: perché non lanciano un piano di investimenti in Europa sostenuto dal governo di Berlino? Questo significa solidarietà  e volontà  di crescere insieme. Ricordo che la Germania è la prima a beneficiare dell’euro».
Per ora si oppone agli eurobond…
«La resistenza alla mutualizzazione del rischio si poteva capire. Ma ora non più. Peraltro, c’è qualche segnale di lievissima apertura che forse porterà  novità  sul medio termine. Anche la Bce potrà  rivelarsi meno rigida che in passato».
Perché c’è Draghi?
«Non solo. Dal 1° gennaio due “falchi” del board come Bini Smaghi e il tedesco Stark, che si è dimesso per protesta contro l’acquisto dei buoni italiani, sono stati sostituiti da personaggi più pragmatici, l’altro tedesco Asmussen e il francese Coeuré. Dovrebbero quindi proseguire sia gli acquisti dei bond che la discesa dei tassi, da portare a zero con un doppio vantaggio: il calo del costo del denaro e la discesa dell’euro, indispensabile per l’export. Anche il cammino verso il lender of last resort, altrettanto fondamentale, risulterà  facilitato».

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