Primarie repubblicane, si ritira Huntsman

by Editore | 17 Gennaio 2012 8:50

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NEW YORK – Fuori un altro. Si ritira dalla corsa per la nomination repubblicana alle presidenziali l’ex ambasciatore in Cina Jon Huntsman, il più moderato dei candidati, anche lui mormone come Mitt Romney. Lo fa togliendosi il gusto di un’ultima stoccata ai suoi rivali, impegnati in una rincorsa verso posizioni sempre più conservatrici. «Questa gara è degenerata – dichiara – trasformandosi in un gioco al massacro, a base di attacchi personali. Non è all’altezza di questo momento critico nella storia del nostro paese». Sante parole, destinate a rimanere senza conseguenze, così come la raccomandazione successiva: «Cerchiamo di concentrarci su come creare occupazione, ridurre il debito pubblico, tagliare la bolletta energetica». Infine la sorpresa: Huntsman invita i suoi – pochi – sostenitori a passare armi e bagagli al superfavorito Romney (che l’ultimo sondaggio della Cnn dava ieri in vantaggio di un punto su Obama). 
Curiosa la velocità  di questa riconversione, perché appena una settimana fa in campagna elettorale per la primaria del New Hampshire l’ex ambasciatore aveva detto di Romney: «A lui piace licenziare, a me piace creare posti di lavoro». Lo staff di Huntsman si è perfino affrettato a cancellare dal sito ufficiale della campagna i numerosi attacchi contro Romney. Questa fretta di saltare sul carro del vincitore ha alimentato una serie di dietrologie, confermando l’idea che molti osservatori si erano fatti di Huntsman, e cioè che l’ex ambasciatore a Pechino non abbia mai seriamente puntato alla Casa Bianca bensì a qualche incarico di prestigio come segretario di Stato. Tra i suoi handicap paradossalmente c’è proprio quell’esperienza in Cina, rinfacciatagli dai repubblicani quasi come un tradimento, per aver «servito» agli ordini di Barack Obama. «Se la mia nazione mi chiama io non mi tiro indietro, chiunque sia il presidente», rispose a suo tempo Hunstman. 
Adesso che è fuori, che peso ha il suo appoggio a Romney? La dichiarazione di voto da parte di notabili ed ex candidati è un rito che ha scarsa influenza sul comportamento degli elettori. Segnala però le scelte dell’establishment repubblicano: ed è evidente che dal numero di appoggi che gli vengono dai vertici del suo partito Romney è considerato sempre di più come «inevitabile» vincitore. La sua pole position potrebbe trasformarsi in una sorta di incoronazione precoce fin dal 21 sera, se vincerà  in South Carolina. I sondaggi continuano a darlo in testa col 35% di intenzioni di voto, seguito da Newt Gingrich col 23% e da Ron Paul al 16%. E’ importante per Romney passare il test del primo Stato del Sud, molto più conservatore sui temi etico-religiosi. Fino a ieri i sondaggi non sembravano “registrare” effetti dall’appoggio che le più potenti congregazioni evangeliche hanno dato all’italo-americano Rick Santorum, cattolico e di gran lunga il più intransigente antiabortista.

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