Più Chrysler e meno Fiat

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Fiat e Chrysler saranno una cosa sola nel 2014. Dal salone dell’auto di Detroit, l’amministratore delegato dei due gruppi Sergio Marchionne annuncia per la prima volta la data della fusione, restando ecumenico su dove atterrerà  la nuova astronave. La sede centrale potrà  essere a Torino o a Detroit, ma perché no in America latina, butta lì in una intervista domenicale al locale Detroit Free Press, considerando forse che da questo continente vengono ormai gli unici utili dell’auto torinese. Ma volendo seguire la sua logica fino in fondo, perché no a Hong Kong, dove passano la maggior parte dei flussi di quei capitali di cui un gruppo mondiale dell’auto ha bisogno più della benzina. Dove che sia, lui comunque resterà  al volante fino al 2015, per portare a termine la missione e far crescere il successore che «verrà  dall’interno». Un modo per scaldare la sua squadra, tranquillizzare gli analisti e fare una pernacchia agli azionisti di maggioranza (gli Agnelli/Elkann), cui da statuto spetta la nomina dell’amministratore delegato. D’altro canto, ripete ancora una volta il manager: «Come si fa ad incoraggiare investimenti stranieri in Italia con i continui ostacoli che le parti sociali pongono alle imprese che vogliono fare impresa?». «Il problema – si risponde – non è Marchionne o la Fiat, serve una riforma del lavoro».
«Non è adesso il momento di decidere», taglia corto Marchionne sull’argomento sede, ma certo che il rischio di trasformare l’Italia in «succursale» del gruppo – come dice Giorgio Airaudo, responsabile auto della Fiom e che per questo chiede al governo Monti di intervenire per fare chiarezza – c’è tutto. Sulla strada della fusione, sempre da Detroit Marchionne ha ricordato che deve prima fare i conti, nel 2013, con il sindacato dei metalmeccanici Uaw e il loro fondo Veba, con in mano ancora il 41,5% della Chrysler. Il manager italiano ha appena portato a casa il 58,5% ma la partita sarà  lunga, perché non c’è ancora intesa sul prezzo e nessuno ha fretta di cedere.
Nell’intervista al Detroit Free Press, Marchionne fa intendere molto di più sulla scelta della sede del gruppo una volta fuso, quando parla delle prospettive di Fiat e Chrysler. «Quello che accadrà  in Europa resta il maggior problema con cui io e la mia squadra dobbiamo confrontarci», dice a proposito della crisi dei mercati e delle vendite del gruppo Fiat sul Vecchio Continente. La conseguenza, risponde Marchionne, è che la «convergenza» di Chrysler su Fiat sarà  «accelerata». Insomma, sempre più Chrysler e meno Fiat, una verità  che si legge già  nel bilancio del 2011. A fronte delle perdite di vendite e quote del gruppo italiano, causate sia dalla crisi economica che dalla scelta sbagliata di Marchionne di rinviare i nuovi modelli a un tempo migliore che invece si è rivelato peggiore, la Chrysler ha chiuso l’anno in pompa magna. Fra le tre Big di Detroit, tutte cresciute a due cifre, la più piccola Chrysler è stata la più virtuosa, con un +26,2% rispetto al 2010, una quota passata dal 9,4 al 10,7%, in un mercato salito complessivamente del 10,3% (in Italia, c’è stato un parallelo crollo del 10,9%). E se le previsioni per il 2012 sono drammatiche per l’Europa (dove opera Fiat), per il mercato nordamericano (dove opera Chrysler) si prevede un’ulteriore crescita, da 12,78 milioni del 2011 ai 13,5/14,5 milioni. Il successo tutto americano di Marchionne è macchiato soltanto dalle vendite deludenti della Fiat 500, poco più di 26.000 unità  invece delle 50.000 annunciate, perdipiù uscita male dalle prove di crash sulla sicurezza del severo ente federale statunitense. Al salone di Detroit, Marchionne condivide i riflettori con la nuova Dodge Dart, una compatta quattro porte sportiva dall’aria familiare, nata sulla base dell’Alfa Romeo Giulietta, dai bassi consumi così come aveva promesso all’amministrazione Obama in cambio di prestiti agevolati e già  ripagati. Peccato che sarà  l’unica novità  dell’anno, dice Marchionne, i fuochi d’artificio del gruppo americano saranno nel 2013. Aspettando con ansia quelli del gruppo Fiat, non ancora annunciati e purtroppo gli unici che possano assicurare futuro agli stabilimenti italiani. LA QUOTA di mercato Chrysler è cresciuta al 10,7 percento nel 2011, mentre in Italia c’è stato un parallelo crollo del 10,9 percento.


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