by Editore | 25 Gennaio 2012 8:45
IL CAIRO – Eliminazione delle leggi di emergenza, rilascio di 1.500 prigionieri politici, e buoni regalo lanciati da una pattuglia di aerei militari in sorvolo. E’ con questi cotillons, che la giunta militare al potere dalla caduta di Hosni Mubarak, spera di trasformare il 25 gennaio in una giornata di celebrazione. Ma in molti tra gli shabab el-thawra, i ragazzi protagonisti di una rivoluzione organizzata su facebook e combattuta sull’asfalto, non sono in vena di festeggiamenti, e cercheranno di trasformare l’appuntamento in una nuova ondata di protesta contro i militari.
In piazza Tahrir, che durante la rivoluzione dei 18 giorni divenne il santuario mediatico della primavera araba, la giornata di vigilia del primo anniverario della rivoluzone viene vissuta tra nostalgia e disillusione. In mezzo alla rotonda teatro di tante battaglie tra manifestanti e militari si montano tende colorate del nero, bianco e rosso della bandiera egiziana. Una foto di Mubarak con il cappio attorno al collo campeggia da uno dei lampioni dove I manifestanti sperano che finirà impiccato. Venditori ambulanti e bambini di strada cercano di racimolare qualche ghinea dai curiosi. «Fate attenzione. E’ pieno di sbirri in borghese», avvertono in molti.
«Non è cambiato niente rispetto a un anno fa – afferma stizzito Mustafa Shamaa un’attivista socialista 20enne della Nile University del Cairo -. Dal punto di vista della repressione si sta peggio che sotto Mubarak. Ogni giorno sento di amici attivisti rapiti e torturati. La repressione è aumentata». «Il paese è cambiato. Ma in peggio», afferma Mohammed Jalil, un 18enne cairota con il blackberry intento a fare foto alle amiche in mezzo alla rotonda. «L’economia va male. Non c’è sicurezza. Non dico che si stava meglio sotto Mubarak, ma quasi». «Ma adesso c’è la libertà », gli risponde Noura una delle sue amiche. Mohammed scrolla le spalle.
Non tutti sono così pessimisti. Reda un fotografo 25enne, che un anno fa era sceso in piazza con gli ultras della squadra cittadina el’Ahly è convinto che «il paese è sulla via giusta. Abbiamo fatto il primo passo per diventare una democrazia. Adesso dobbiamo proseguire con le riforme. Il 25 deve essere un giorno di festa. Bisogna solo avere pazienza». Ma tra la maggioranza dei ragazzi radunati nel centro a dominare è la disillusione. «A cosa è servito il sangue dei martiri?», chiedono in molti giovani.
Nel pomeriggio un corteo di 200 persone parte da Tahrir e si snoda nelle vie del centro per mobilitare la popolazione. Lo slogan intonato è quello del 25 gennaio «aysh, hurreya, wa adala el-ekhtimaya» (pane, libertà e solidarietà sociale). Ma la gente sui marciapiedi guarda i giovani con un misto di indifferenza e rassegnazione. «Il paese è diviso», ammette Amer, un ventenne del quartiere popolare di Giza, parte del movimento «6 Aprile», uno dei gruppi che hanno fatto da traino alla rivoluzione, per poi finire marginalizzati. «Una volta erano tutti a favore della rivoluzione. Adesso in molti sono preoccupati solo per la sicurezza». Simili le parole usate da Mohammed Salem, il blogger noto con il nome d’arte Sandmonkey: «C’è una sconnessione tra rivoluzionari e popolo», ha scritto sul suo blog, aggiungendo che la popolazione è più preoccupata per l’economia che per la democrazia.
A molti appare chiaro che le battaglie campali tra manifestanti e polizia di novembre e dicembre hanno alienato ampie fasce della popolazione e che bisogna cambiare strategia. Eppure i gruppi rivoluzionari sono determinati a fare del 25 gennaio l’inizio di una nuova ondata di protesta per «completare la rivoluzione». «Le nostre richieste sono semplici – afferma Mohammed «Mido», un attivista di 21 anni -: vogliamo che la giunta militare lasci subito e il potere passi al parlamento. Se la giunta militare non risponderà affermativamente alle nostre richieste, organizzeremo un venerdì della rabbia».
A partire dalla serata di ieri, nonostante la pioggia, alcune centinaia di manifestanti si sono radunati in piazza Tahrir. Oltre alla gioventù rivoluzionaria oggi in piazza si prevede che convergeranno anche i sostenitori della giunta militare che hanno dato vita a una serie di adunate pro-esercito nel quartiere popolare di Abbasia. Basterà una piccola provocazione per fare scoppiare gli scontri e aggiungere nuovi nomi alla lista dei «martiri» della rivoluzione che sono già più di mille…
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