PERCHà‰ INVESTIRE NEL CAPITALE UMANO

by Editore | 7 Gennaio 2012 9:22

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Anche chi non condivide la lezione di Keynes ricordata su questo giornale da Paul Krugman – secondo cui in periodi di recessione l’austerità  rischia di schiacciare ogni possibilità  di ripresa – non può che essere d’accordo sul fatto che proprio quando le risorse sono scarse vanno spese nel modo più efficace e coordinato possibile. Non ci si può permettere di sprecare nulla. 
In questa prospettiva, sembrerebbe opportuno che gli incentivi previsti per l’occupazione giovanile e femminile non venissero destinati genericamente alle aziende che assumono, appunto, giovani di ambo i sessi e donne di ogni età , ma venissero favorite le aziende (incluse quelle di terzo settore) che investono nella produzione di beni collettivi, in primis nella manutenzione e messa in sicurezza dell’ambiente e dei beni culturali e nei servizi alla persona, ma anche nella innovazione tecnologica che migliora la qualità  della vita. In questo modo l’investimento a favore dell’occupazione avrebbe effetti positivi anche ad altri livelli. La messa in sicurezza dell’ambiente è, infatti, ormai un’emergenza che ci costa enormemente non solo in termini di vite umane e di disastri ambientali, ma anche in termini economici. Quanto ai servizi alla persona, vanno concepiti non solo o tanto come una spesa, ma come una forma di investimento sociale. Facilitano l’occupazione delle donne con responsabilità  familiari (e quindi sostengono l’occupazione femminile anche per questa via). 
Nel caso dei servizi per la prima infanzia riducono anche le disuguaglianze tra bambini nelle opportunità  di sviluppo delle capacità . Nel caso dei servizi per persone con difficoltà  gravi, riducono i rischi di perdita di capacità  e possono mettere in moto viceversa meccanismi di recupero e arricchimento delle stesse. In generale, i servizi alla persona sono uno strumento di quella coesione sociale che è un prerequisito dello sviluppo sostenibile. Si dice che lo stato non può farsi carico di tutte queste iniziative pur necessarie aumentando la spesa pubblica. Ma, proprio per questo, perché le risorse sono scarse, nel momento in cui ne distribuisce ai privati, alle aziende, è opportuno che ponga delle priorità  sul loro utilizzo. 
Un analogo ragionamento si potrebbe fare per quanto riguarda la riforma degli ammortizzatori sociali, che è un pezzo della riforma del mercato del lavoro. C’è ormai un accordo abbastanza generalizzato sul fatto che occorre arrivare ad ammortizzatori sociali di tipo universalistico, in particolare per quanto riguarda la perdita del lavoro. C’è anche accordo sul fatto che occorre provvedere un ponte per coloro che hanno perso, o lasciato, il lavoro, ma hanno visto allontanarsi la possibilità  di prendere la pensione a seguito della riforma appena approvata. Forse questa è finalmente la congiuntura favorevole alla introduzione di quella indennità  generalizzata di disoccupazione per tutti coloro che perdono il lavoro, a prescindere dal tipo di contratto e di impresa, che esiste in tutti i Paesi europei e su cui in Italia si discute e avanzano proposte da anni. Bene. Tuttavia ci si può chiedere perché, se si trovano le risorse per gli ammortizzatori, una parte non possa essere usata invece per creare o mantenere posti di lavoro sempre nel settore della produzione di beni collettivi. Inoltre, perché non pensare anche di dare l’opportunità  di incrementare l’indennità  di disoccupazione svolgendo, con una piccola integrazione, lavori (effettivamente) socialmente utili? So bene che la storia passata dei lavori socialmente utili è piena di sprechi quando non veri e propri imbrogli. E so anche che una proposta del genere può venire accusata di social dumping, nella misura in cui un comune o una regione potrebbe avvalersi di lavoro a basso costo invece di assumere. Tuttavia, in un periodo in cui la domanda di lavoro è poca, i bilanci magri, il patto di stabilità  ferreo, ma il lavoro da fare molto, combinare, per chi può e vuole, un’indennità  decente di disoccupazione con un’attività  lavorativa a tempo parziale e determinato aiuterebbe da un lato a mantenere il capitale umano dei giovani e a valorizzare e non sprecare quello delle persone in età  matura, dall’altro a mantenere la qualità  della vita nelle comunità  locali. Certo, occorre che ci sia un attento monitoraggio, per evitare abusi e imbrogli da una parte e dall’altra.

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