by Editore | 5 Gennaio 2012 8:09
MILANO – Pronti via, l’aumento di capitale Unicredit parte con un bel tonfo, meno 14,4%. Le vendite sono scattate fin dalla prima mattina quando il cda ha comunicato il prezzo finale della ricapitalizzazione: 1,943 euro per ogni nuova azione nel rapporto di due nuove ogni vecchia, che corrisponde a uno sconto sul Terp (prezzo teorico ex diritto di opzione) del 43%. Le indicazioni della sera prima non erano molto distanti da questo livello, poiché erano comprese in una forchetta che oscillava dal 30 al 40%. Che cosa è successo, allora, per scatenare vendite così copiose sul titolo della banca italiana? Innanzitutto l’ampiezza dell’aumento, che è pari al 60% della capitalizzazione di Borsa della società , contro il 10% dell’operazione effettuata nel 2010. L’effetto diluitivo ha modificato gli indici e i fondi istituzionali che li replicano in maniera passiva si sono trovati costretti a vendere. In secondo luogo ha inciso la componente operazioni in derivati, in pratica l’attività di vendita allo scoperto “delta neutral” consentita attraverso il prestito titoli. Molti investitori sono corsi a prendere in prestito i titoli Unicredit e a riversarli sul mercato. Da lunedì potranno consegnarli e andarsi a comprare i diritti che verranno trattati separatamente. Oppure aspettare il momento più opportuno. Il mercato sarà infatti molto liquido poiché verranno trattati diritti in un numero pari a due volte il numero delle azioni esistenti e al momento sembra difficile fare previsioni sull’andamento del relativo prezzo. La speranza delle banche collocatrici di Unicredit è quella che o il titolo o il diritto cominci a salire. Il terzo flusso di vendite che si è visto sul mercato riguarda i fondi istituzionali classici che hanno venduto sottopesando l’indice di riferimento per poi ricomprare a prezzi più bassi, direttamente sul titolo o sul diritto.
Insomma, grandi manovre intorno alla prima banca italiana a rappresentare un test importante per il management guidato da Federico Ghizzoni che ha trascorso l’ultimo mese incontrando investitori istituzionali in giro per il mondo e illustrando il suo piano industriale per la banca. Ed è un test anche sull’appetibilità del sistema Italia in un momento particolarmente delicato per la sua credibilità all’estero. La fiducia dovrà poi arrivare anche dai piccoli azionisti, i risparmiatori, che possiedono circa il 20% del capitale e che dovranno decidere cosa fare. In molti potrebbero scegliere di vendere una parte dei diritti per fare cassa e finanziare la sottoscrizione dei diritti rimanenti.
Di certo, chi beneficerà sicuramente di un prezzo di collocamento così basso è il consorzio di garanzia, composto da ben 27 banche, che vede diminuire la possibilità di accollo delle azioni invendute. Inoltre, le commissioni al consorzio e ai consulenti sono particolarmente succose di questi tempi: 250 milioni per le 27 banche e relativi advisor, cifre molto importanti. A sopportare le conseguenze di un’operazione di questo tipo sono i vecchi azionisti che si vedono costretti a sborsare altre risorse per non perdere la posizione acquisita in passato. Si vedrà alla fine dell’aumento a quanto si sarà ridotta la capitalizzazione di Unicredit al netto dei 7,5 miliardi che entreranno nelle sue casse
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