Obama davanti al Congresso “Fase cruciale per l’America”

by Editore | 24 Gennaio 2012 7:43

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NEW YORK – «Siamo a un bivio, a una scelta storica fra due visioni dell’America, a un momento cruciale per difendere gli interessi dei lavoratori e del ceto medio». Così Barack Obama stasera presenterà  alla nazione la posta in gioco nell’elezione di novembre. Il suo discorso sullo Stato dell’Unione sarà  un appello a «ricostruire un’economia che produca benessere per tutti, non solo per una ristretta minoranza». Un invito a non cadere in una sorta di «amnesia collettiva», ritornando cioè a seguire quelle ricette fallimentari dell’iperliberismo che provocarono la crisi del 2008, e che la destra ripropone con fervore ideologico.
L’appuntamento più solenne dell’anno per la vita politica americana, questa sera alle 21 (le tre di notte in Italia) si trasformerà  nel più potente messaggio elettorale del presidente, in una fase in cui Obama ha appena il 48% dei consensi e la destra spera di trasformarlo in un “presidente da un solo mandato”. Sarebbe un’umiliazione, è dai tempi di George Bush padre (1992) che un leader americano non viene spedito a casa dagli elettori dopo soli quattro anni. Ma sarebbe anche un disastro per l’economia e per la società  americana, perché «questa elezione ha conseguenze enormi», spiegherà  stasera Obama. Da una parte c’è una destra alla deriva verso posizioni così radicali da bloccare qualunque spesa pubblica, anche «investimenti nella modernizzazione delle infrastrutture come quelli che decise un presidente repubblicano negli anni Cinquanta» (Dwight Eisenhower). Dall’altra parte c’è un presidente deciso a usare ogni mezzo a sua disposizione per imporre «un programma di ricostruzione dell’economia, uno sviluppo durevole, equilibrato, con equità ». 
È un Obama nettamente spostato a sinistra quello che stasera affronta l’opinione pubblica e al tempo stesso il Congresso, dove i repubblicani bloccano da un anno e mezzo ogni progetto che venga dalla Casa Bianca. Addio alle illusioni bipartisan, è finito il tempo in cui Obama voleva apparire come il grande arbitro, il mediatore capace di costruire ampie maggioranze. Ora al contrario il suo messaggio è nettamente populista (un termine che negli Usa non ha necessariamente un connotato spregiativo), con l’insistenza sul tema fiscale. Tanto più ora che lo scandalo delle tasse investe in pieno la campagna repubblicana – con Mitt Romney costretto a rivelare che paga solo il 15% di aliquota, e tiene 30 milioni alle Caimane – Obama sosterrà  con vigore la necessità  di «tornare ai valori americani di giustizia e responsabilità  per tutti». Rilancerà  la sua proposta di una Buffett Tax, la tassa sui milionari, proprio per contrastare l’ampia zona di elusione fiscale legata alle plusvalenze finanziarie. Proporrà  incentivi alle imprese che “ri-localizzano” posti di lavoro negli Stati Uniti. Rimetterà  al centro della sua iniziativa gli aiuti alle energie rinnovabili, il progetto di Green Economy; e un piano di sostegno all’occupazione: cominciando con la difesa dei posti di lavoro nella scuola minacciati dai tagli per l’austerity nei bilanci degli enti locali. Ci sarà  spazio anche per la politica estera, ma meno del solito. Obama può vantare al proprio attivo il ritiro totale dall’Iraq, una solenne promessa mantenuta. In Afghanistan l’inizio di un ritorno delle truppe americane è vicino, a fine agosto, giusto in tempo per occupare l’attenzione due mesi prima del voto. L’Iran è una trappola potenziale, Obama deve ribadire la sua fiducia nell’efficacia delle sanzioni, ma senza apparire “debole” come lo dipingono i repubblicani. L’opzione militare contro il programma nucleare di Teheran non può essere esclusa, guai ad essere troppo “colomba” in un anno di elezioni.
I precedenti storici appassionano: per molti questo discorso sullo Stato dell’Unione cade in una fase simile a quella che visse Bill Clinton nel 1996. Anche Clinton era paralizzato dall’ostruzionismo repubblicano al Congresso; di fronte aveva un certo Newt Gingrich come leader della destra parlamentare, lo stesso che oggi è in gara per la nomination repubblicana. Ma Clinton lanciò lo slogan «l’èra del Big Government è finita», un’idea da Terza Via, da sinistra centrista. Obama ha ereditato una recessione drammatica, e di fronte a una destra anti-Stato difende il principio che «l’intervento pubblico può fare la differenza, quando le diseguaglianze si sono allargate a livelli sconosciuti da 70 anni».

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