NUOVE REGOLE PER QUEI COLOSSI

by Editore | 16 Gennaio 2012 9:04

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Come a Las Vegas, navi con migliaia di posti-letto vengono spacciate per lusso “esclusivo”, ma sono macchine per vacanze, che macinano i piaceri standardizzati di una finta opulenza.
Vendono illusioni, spacciando per altamente personalizzato il più banale e commercializzato turismo di massa. Dare l’illusione del lusso tenendo bassi i costi: di qui la corsa al personale non specializzato, che all’occasione, si scopre, non solo non sa calare una scialuppa in mare ma nemmeno balbettare qualche parola d’inglese (così, pare, sulla Costa Concordia, affondata a pochi metri dal porto dell’isola del Giglio).
Il rito salutista del viaggio per mare miete vittime, solo qualche volta (per fortuna) in senso letterale come al Giglio. Altre volte, vittime sono i clienti, ma anche il paesaggio e l’ambiente. Come per contrappasso, queste navi “da crociera” fanno di tutto per somigliare a una città , anzi a una neo-città  addensata in un grattacielo, con dentro shopping center e ristoranti, discoteche e cinema, negozi, palestre, teatri, casinò, piste di pattinaggio su ghiaccio, percorsi jogging, campi sportivi. Nulla, insomma, di più innaturale. Forse per questo il momento di gloria di queste navi-monstre è quando possono esibire il più vicino possibile a una città  di terra la loro pomposa arroganza di città -artificio. Non c’è da stupirsi che il capitano della Concordia volesse avvicinarsi il più possibile all’abitato del Giglio: è quello che accade, più volte al giorno, con identiche navi che entrano nel bacino di San Marco sfidando con la loro mole pacchiana la millenaria basilica, i cavalli di bronzo strappati dai dogi a Bisanzio, il Palazzo Ducale. Anzi, allineandosi su campi e calli, e dando ai passeggeri l’insulso piacere di guardare Venezia dall’alto in basso. E le chiamano navi, così s’intitola un pamphlet di Silvio Testa della serie bemenerita “Occhi aperti su Venezia”.
Alte fino a 60 metri e oltre, molto di più dei nobili palazzi del Canal Grande, le navi penetrano nel cuore di Venezia per osservarne la bellezza, ma la oscurano e la offendono, alterandone la percezione anche per chi di noi è a terra, o in gondola, o su un vaporetto di linea. Per esempio, la Voyager of the seas è alta 63 metri, lunga 311, larga 47, con 47 ponti; la Costa Favolosa, di poco più piccola, gareggia apertamente con Las Vegas proponendo repliche del palazzo imperiale di Pechino, del Circo Massimo di Roma, di Versailles. Intanto si alterano secolari equilibri portando la profondità  delle bocche di porto da 9 a 17 metri (Malamocco), da 7 a 12 metri (Lido). Viene allora il sospetto che le dighe mobili alle bocche di porto (MoSe) servano a incrementare questa stolta escalation anziché a salvare la città  dall’acqua alta. Un gruppo di Facebook Fuori le maxinavi dal bacino di San Marco raccoglie crescenti adesioni ma non smuove le autorità ; invano Massimo Cacciari, da sindaco, aveva provato almeno ad escludere le navi più grandi. Invano lo Spiegel denunciò il problema in un duro articolo di Fiona Ehlers (21 febbraio 2011), premiato dall’Istituto Veneto. Invano Italia Nostra, in un appello poi accolto dall’Unesco, ha protestato contro queste degenerazioni che annientano la forma caratteristica della città  e la sua vita civile. Paolo Costa, ex sindaco e ora presidente dell’autorità  portuale, propugna invece il senso unico a San Marco per incrementare il traffico delle super-navi. Un milione e mezzo di turisti l’anno, dopo aver gettato su Venezia un distratto sguardo dall’alto, scendono e si aggirano comprando qualcosa sulle bancarelle, pagando una qualche tassa d’accesso. Di fronte a tanto beneficio, pazienza se Venezia muore. Il denaro prima di tutto, in luogo di tutto. 
E la nave (una di queste navi) non va, a Venezia. Lo hanno gridato ieri i manifestanti alle Zattere, accogliendo la Magnifica con striscioni come Big Ship You Kill Venice, e urlando «Sei troppo grande per questa città ». All’orribile impatto visivo si unisce infatti un significativo incremento della torbidità  delle acque, ma anche il rischio di collisioni e di sversamento di idrocarburi nel cuore della città , un rischio che cresce col numero delle mega-navi che vi sono ammesse (2000 transiti nel 2011).
Nessuno ha calcolato gli effetti della pressione di migliaia di tonnellate d’acqua sulle fragili rive di Venezia. Nessuno ha offerto dati sull’inquinamento da polveri sottili (500 tonnellate scaricate dalle navi a Venezia nel 2010); o sulla presenza in laguna di benzopirene, altamente tossico. Nessuno sa dire se l’incidenza di malattie tumorali che potrebbe avere questa causa sta crescendo in questi anni, anche se il Registro dei tumori segnala a Venezia un «eccesso significativo di neoplasia del polmone» ( i dati nell’opuscolo di Silvio Testa). Il terribile incidente del Giglio sta attirando molta attenzione, ma a Venezia un simile incidente fu sfiorato il 23 giugno 2011, quando la nave tedesca Mona Lisa, lunga “solo” 200 metri, per un errore di manovra si incagliò a pochi metri dalla Riva degli Schiavoni. Dobbiamo aspettare qualcos’altro, perché le autorità  del porto e del Comune pongano fine alla chiassosa sarabanda di navi “magnifiche” e “favolose”, ma nocive alla più preziosa e fragile città  del mondo?

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