by Editore | 4 Gennaio 2012 8:59
Decine di migliaia di manifestanti sono scesi in piazza di fronte al palazzo dell’Opera di Budapest per protestare contro la nuova Costituzione ungherese, preoccupantemente totalitaria, populista e nazionalista, mentre all’interno dell’edificio il governo festeggiava la sua realizzazione. L’iniziativa, lanciata da varie organizzazioni della società civile e appoggiata da oltre quaranta gruppi e formazioni politiche tra le quali il Partito socialista (Mszp), Lehet mà¡s a Politika (Un’altra politica è possibile), Zà¶ld Baloldal (Sinistra verde) e Attac Ungheria, è l’ultima di una serie di dimostrazioni di dissenso civile che si sono susseguite nel corso del 2011 contro la politica seguita dall’esecutivo guidato dal conservatore Viktor Orbà¡n e le sue disposizioni. Così l’anno scorso la piazza antistante il Parlamento è stata il centro di una serie di proteste contro la legge sulla stampa che ha portato alla nascita di un organo centrale deputato al controllo delle informazioni diffuse all’interno del paese. Con il governo che accusava i dimostranti, allarmati per il futuro della democrazia nello Stato danubiano, di nutrire sentimenti antiungheresi, additandoli a un’opinione pubblica in genere apatica con argomentazioni patetiche sul senso di attaccamento alla patria. Una patria per troppo tempo serva di poteri esterni e ora intenta a realizzare la sua autonomia. La crisi morde e la situazione politica volge al peggio. Gli intellettuali progressisti sottolineano la deriva autoritaria che il Paese sta conoscendo dacché il partito di centro-destra Fidesz è tornato al governo. Il più drammatico nell’analizzare la situazione è lo scrittore Lajos Parti Nagy quando afferma di non sapere neppure se parlare di crisi dei valori democratici in Ungheria in quanto non ci può essere la crisi di un qualcosa che non c’è mai stato. «Tutto quello che sta succedendo è il frutto di un sistema dittatoriale» aggiunge Parti Nagy: la legge sulla stampa, la nomina a direttore artistico dell’àšj Szànhà¡z (il Nuovo Teatro, una delle strutture culturali più significative della Capitale) di Gyà¶rgy Dà¶rner, un uomo tradizionalmente vicino a Jobbik, il partito di estrema destra che conta al parlamento 47 deputati, sono il segno dell’aria pesante che tira nello Stato danubiano e dell’attacco del governo Orbà¡n alla libertà di espressione. La nomina di Dà¶rner fa parte di un progetto ben preciso che tende ad asservire all’esecutivo anche il mondo della cultura. Attore mediocre, il nuovo eletto intende trasformare l’àšj Szànhà¡z e cambiarne il nome in quanto «ciò che è nuovo non è necessariamente buono, soprattutto nel contesto degenerato della società liberale». Biasima il carattere leggero e commerciale dei teatri di Budapest li ha paragonati a dei bordelli – che dovrebbero invece esprimere i veri valori ungheresi. Quegli stessi valori presenti nella nuova Costituzione contro la quale la parte più sensibile e progressiva dell’opinione pubblica ha manifestato avantieri e non per la prima volta. Il nuova Carta ha un preambolo che vede in Dio e nel Cristianesimo gli elementi fondanti e unificanti della nazione ungherese identificando la nazione etnica con quella politica e quindi discriminando le tredici minoranze che calcano il suolo magiaro. Il nuovo testo, inoltre, apre le porte al diritto di voto da parte dei membri delle collettività ungheresi che risiedono nei paesi vicini a costo di destabilizzare i già fragili equilibri regionali e i difficili rapporti con Bratislava e Bucarest. Il diritto di voto sarebbe un modo di ricompattare il mondo magiaro e ottenere una rivincita sugli accordi di pace successivi alla Prima guerra mondiale che portarono a uno smembramento di quella che viene chiamata dai nostalgici «Grande Ungheria». Per Là¡szlà³ Bità³, scrittore attivo nel dibattito politico-culturale degli ambienti più progressisti del Paese, Orbà¡n è il principale interprete, il vero sacerdote di quello che egli chiama «nazionalismo sacrale», quella forma di nazionalismo che ha ispirato la nuova Costituzione conservatrice e autoritaria. Un culto cui il primo ministro si dedica con un atteggiamento profetico arrivando a sostenere che l’Ungheria cristiana sarà un esempio per l’Europa. Ma in realtà Budapest si sta allontanando sempre di più dall’Ue. Le leggi entrate in vigore con il nuovo testo costituzionale sono guardate con forte inquietudine da Bruxelles, che ora si riserva di verificare la loro compatibilità con le norme europee. E per il momento i negoziati con Ue e Fmi per gli aiuti finanziari da 15-20 miliardi di euro chiesti per stabilizzare il fiorino in caduta libera sui mercati internazionali, restano al palo. A destare forte preoccupazione la legge che modifica lo statuto della banca centrale ungherese con cui il governo rafforza la sua influenza diretta sull’istituto. D’ora in avanti il presidente non potrà più scegliere i suoi tre vice che saranno invece nominati dal Primo ministro, mentre il fiorino diviene, per costituzione, la moneta nazionale. Di conseguenza, l’eventuale adesione dell’Ungheria all’euro, che non dovrebbe avvenire prima del 2020, avrebbe bisogno di un sostegno pari ai 2/3 della maggioranza parlamentare. Negativo l’impatto della nuova Costituzione anche sul piano sociale. C’è una legge che rende i senzatetto passibili di pene detentive, vengono ridotti notevolmente anche il diritto di sciopero, quelli dei lavoratori dipendenti e il già angusto spazio di manovra delle organizzazioni sindacali. «L’Ungheria agli ungheresi», gridano i seguaci di Orbà¡n e di Jobbik ma anche in questo caso è escluso che il paese possa essere di tutti gli ungheresi, date le propensioni populistiche dell’attuale primo ministro e la sua inclinazione verso gli strati più abbienti di un paese che ora risulta in balia delle sue pulsioni peggiori.
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