Non Date la colpa ai tedeschi

by Editore | 31 Gennaio 2012 9:32

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Ecco, vorrei partire da queste impressioni del mio viaggio in Italia per ragionare sulla crisi dell’Europa, su dove questa crisi ci può portare, su come sarà  dopo la crisi questa Europa abituata nei decenni del dopoguerra alla democrazia e all’economia di mercato. L’impressione che ho colto è che la signora Merkel sia vista come una ragione della crisi italiana. Il che, mi rincresce dirlo, mi sembra un capovolgimento della realtà . Nell’incapacità , o nella scelta italiana, di non capire che la linea della signora Merkel è non già  una causa della crisi odierna, bensì solo una delle reazioni di una politica economica e finanziaria italiana che ha portato l’Italia ai problemi di oggi. Non fraintendetemi, non voglio parlare solo di Germania e Italia. Però il rapporto bilaterale è un esempio dei problemi che in queste ore vive l’intera Europa. Questa idea della Germania cattiva vista come ragione del malessere è molto forte in Grecia e comincia a dilagare anche in Italia. E persino in dichiarazioni di Sarkozy. Tutti o quasi tutti in Europa sembrano dimenticare che la Germania stessa non si sente invulnerabile a un pericolo di downgrading: nel calcolo di probabilità  dell’establishment è un rischio al 50 per cento. Ricordarlo potrebbe forse aiutare l’Europa a capire meglio i timori tedeschi e la linea tedesca. Insieme, soprattutto, al timore che con la crisi la Germania rischi non soltanto di perdere il rating a tre A ma soprattutto la sua specificità  di unico grande paese dell’eurozona in cui, sulla scena politica, non agiscono forze populiste e nazionaliste.
C’è un conflitto di fondo. Sul grande dilemma, se per salvare l’unità  europea e l’euro puntiamo sul consolidamento dei bilanci secondo la scuola tedesca – e Monti è il primo a dire “ich denke Deutsch” (penso tedesco, ndr) – o sulla scelta di stampare più moneta. Entrambe le opzioni aprono grandi rischi. Nessuno, in quest’Europa in crisi, può offrire la certezza di quale sia la via giusta. Rischia di essere quella che gli inglesi chiamano una “no win situation”, una situazione in cui appunto nessuna scelta ti garantisce certezze di successo o di uscita dalla crisi. Per questo è così difficile e inquietante la ricerca di ogni risposta al grande interrogativo, come sarà  l’Europa dopo la crisi, tra qualche anno. 
Di ogni scelta conosciamo i pericoli, molto più dei vantaggi. Se iniziamo a stampare più denaro ciò significherà  che mai riusciremo a convincere i paesi che non si sono riformati, hanno accumulato debiti, falsificato i bilanci, a fare una politica seria. E con un decollo dell’inflazione tra il 5 e il 10 per cento aggrediremo ogni piccolo risparmiatore. Infine ma non ultimo, stampare più denaro vorrà  dire far venire meno in Germania l’attuale maggioranza e aprire le porte a un movimento populista che qui tutti temono, un’esperienza che solo noi tra i grandi paesi dell’eurozona siamo riusciti a risparmiarci garantendo la stabilità  politica della nostra democrazia.
Fin qui i rischi della scelta di una politica di deficit spending. Ma pensando al futuro dell’Europa, vediamo adesso i rischi di una politica di priorità  all’austerità  e al rigore. Il primo problema che si pone è come si fa, quando un paese non cresce più, e anzi diventa più povero, a creare benessere e stabilità  politica contemporaneamente a dieci o dodici anni di rigore. Anche in questo caso, e a fronte del pericolo recessione, manca un po’ la fantasia a noi europei. Nessuna delle due alternative promette insomma alternative allettanti per il futuro. Ecco, la “no win situation” è tutta qui.
In questo momento, l’Italia di Monti è vista con simpatia e apprezzamento dalla Germania, ma mostra la tendenza a dimenticare il malgoverno fino a ieri, e dieci anni perduti senza riforme che hanno creato una situazione disastrata. La tendenza a vedere solo i sintomi della crisi e la reazione del resto d’Europa a questi sintomi. È un modo di ingannarsi da soli. Lo stesso Mario Monti secondo me avrebbe fatto meglio a dire nei colloqui con la signora Merkel, e non in interviste prima o dopo, come la Germania avrebbe potuto aiutare l’Italia. Invece nei colloqui non lo ha detto. L’apprezzamento mostrato da Angela Merkel ha avuto un suo effetto sugli interessi del debito sovrano, ma gli ambienti governativi qui obiettano che se Monti vuole chiedere aiuti li deve chiedere nei colloqui bilaterali, non in sedi esterne. Se poi come aiuto si intende solo stampare più denaro, Angela Merkel ribatte ricordando che questo non è il compito della Banca centrale europea.
L’aspetto più pauroso di questa crisi, più del presente, è l’assoluta incertezza sul futuro. Sconcerta parlando qui con i massimi esperti l’estrema divergenza di opinioni, l’insicurezza. All’origine dei problemi dell’eurozona, visto da qui, sembra essere anche l’apertura a paesi che non erano maturi per entrarvi. La Germania è stato il paese che ha profittato di più dell’euro, ma anche quello che ha pagato di più per garantirne la stabilità . Guardando al futuro, vedo un problema specifico tedesco e un problema dell’intera Europa. Il problema tedesco è che si chiede alla Germania di assumersi più responsabilità , ma se lo fa si risveglia subito lo spettro di un “quarto Reich”. Posizione ambigua, ingiusta, assurda. La Germania però ha il destino di non dover far paura. Né alla Francia, né a vicini come la Polonia. E al tempo stesso gli elettori diffidano dei politici che promettono e non mantengono, o rifuggono da riforme radicali pensando a farsi rieleggere, e sono un incentivo a una tendenza nascente in tutti i paesi europei. La tendenza a chiedersi se la democrazia è il sistema più efficiente oppure no. Mi sembra il pericolo più grave. Non so quale modello o assetto politico avremo in Europa tra 4 o 5 anni, ma sono abbastanza sicuro che queste tendenze postdemocratiche si accentueranno e le vedo come un grande pericolo. 
Alcuni sistemi autoritari, come la Cina, o semidemocrazie come Singapore, sembrano funzionare benissimo. A lungo termine la sfida dell’Europa è questa. Abbiamo intanto l’urgenza estrema di unirci come Europa, a fronte di un’America che si orienta sempre più verso il Pacifico, e ritira in massa anche truppe e armi dal Vecchio continente. Germania, Francia, Italia da soli non sono capaci di rispondere a queste sfide da soli. Siamo condannati all’accordo, per non essere stritolati dalle nuove potenze economiche. Affrontando il pericolo dall’interno, la sfiducia verso la democrazia. Dovremmo puntare sul modello europeo di economia sociale e di democrazia, un modello di vita che, se supereremo l’attuale crisi del debito sovrano, può tornare ad apparire attraente. Le premesse del presente non sono le migliori: sulla Sueddeutsche Zeitung sono giunti a parlare con leggerezze della crisi europea come della fine di un impero. Io sono più ottimista, credo nelle capacità  e nella flessibilità  dei paesi europei. Ma fino a quando l’Europa ha tempo per salvare il suo rango e ruolo di prima area economica mondiale?
Sacrifici, nel futuro dell’Europa, saranno inevitabili per tutti. Il problema decisivo è se riusciremo o no, in ogni paese, a spiegare alla gente la necessità  dei sacrifici. Da fuori della Germania, in questo senso, non vedete che la Germania sopporta già  il peso maggiore delle operazioni di salvataggio dell’euro: tra crediti, contributi al fondo salvastati Fesf e garanzie, parliamo di oltre 600 miliardi, più del bilancio federale. E se va male, la gente qui lo sentirà  andando dal dentista, con le strade dissestate, in ogni piccolo momento del quotidiano. Lo scrivo perché tengo molto a una Germania che resti democratica, stabile, prevedibile. Insisto, la Germania ha avuto dall’euro grandi vantaggi ma si è anche assunta le sue responsabilità . Non è un paese che non fa nulla e detta solo condizioni. Gli altri europei, temo, sottovalutano il rischio che la crisi destabilizzi la democrazia tedesca. In questi decenni la Germania è stata una potenza buona, un “soft power”, un paese che si è sempre mostrato più piccolo, un paese privo di forze nazionaliste e populiste. Capisco per questo Angela Merkel quando dice che la stabilità  tedesca è un valore, e che non vuole rischiare di metterla in pericolo. La demagogia autoritaria, come con Orbà n in Ungheria, appare caso estremo ma è un rischio da non sottovalutare. Per questo secondo me Angela Merkel è severa su principi, magari discutibili, ma è severa per farsi seguire dall’elettorato. E in un certo senso è rassicurante che un partito moderato come la Cdu sarebbe il partito più forte in caso di elezioni oggi. Ma quanto a lungo? 
L’ultimo grande dilemma: l’Europa di oggi è un’Europa a due velocità . Le due velocità  dividono il mondo degli affari, che insiste per rapide misure anticrisi anche a costo di stampare più denaro, e i politici come la signora Merkel che non può e non vuole farlo, dovendo pensare a salvare la sua maggioranza moderata dalla sfida populista. Il tedesco medio, non dimentichiamolo, soffre spesso del complesso di chi si sente derubato dei propri soldi, dei propri risparmi, della propria laboriosa efficienza dai paesi spendaccioni del sud. Spero che i politici europei non siano troppo lenti per salvare la democrazia. E che non conquistano troppi seguaci quell voci come un imprenditore di prima importanza, Wolfgang Reitzle, numero uno del gruppo Linde, il quale giorni fa ha invitato a non considerare un tabù l’ipotesi di un’uscita della Germania dall’euro. Già  simili dichiarazioni mostrano una certa compatibilità  per posizioni populiste e isolazioniste. Un rischio per la Germania, e per l’Europa intera, se ci chiediamo come saremo e come vivremo nel prossimo futuro.
*Direttore Die Zeit

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