Non citate più Pericle era un populista

by Sergio Segio | 14 Gennaio 2012 9:02

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Lui aveva preso il mio giudizio come una boutade, aveva riso, ed era salito.
Dopo, quando era disceso, mi aveva detto: “Sai, mentre leggevo mi accorgevo che avevi ragione”.
Pericle era un figlio di buona donna o, come avrebbero detto ai suoi tempi, per esprimersi in modo più gentile, figlio di una etera.
Si stava celebrando in piazza del Duomo, strapiena di festanti, la vittoria di Pisapia alle amministrative, si succedevano sul palco politici, cantautori, attori, artisti, e uno dei nostri comedians più bravi mi stava dicendo che andava a leggere il discorso di Pericle agli ateniesi, come elogio della democrazia. Io gli avevo detto: “Stai attento, perché Pericle era un figlio di puttana”. Lui aveva preso il mio giudizio come una boutade, aveva riso, ed era salito.
Dopo, quando era disceso, mi aveva detto: “Sai, mentre leggevo mi accorgevo che avevi ragione”.
Pericle era un figlio di buona donna o, come avrebbero detto ai suoi tempi, per esprimersi in modo più gentile, figlio di una etera. Non più di tanti altri politici e, tanto per dire, Machiavelli lo avrebbe ampiamente giustificato, per carità . Ma il suo discorso agli ateniesi è un classico esempio di malafede.
All’inizio della prima guerra del Peloponneso, Pericle fa il discorso in lode dei primi caduti. Usare i caduti a fini di propaganda politica è sempre cosa sospetta, e infatti sembra evidente che a Pericle i caduti importavano solo come pretesto: quello che egli voleva elogiare era la sua forma di democrazia, che altro non era che populismo – e non dimentichiamo che uno dei suoi primi provvedimenti per ingraziarsi il popolo era stato di permettere ai poveri di andare gratis agli spettacoli teatrali. Non so se dava pane, ma certamente abbondava in circenses. Oggi diremo che si trattava di un populismo Mediaset.
Ricorda Plutarco (Vita di Pericle) che “Pericle governando si dedicò al popolo, preferendo le cose dei molti e poveri a quelle dei ricchi e pochi, contro la sua natura che non era affatto democratica”. Vale a dire, se le parole hanno un senso, che, aristocratico di buona condizione economica, era attaccato alla sua classe ma usava il ricorso al favore popolare come strumento di potere. Al punto tale che, visto che Cimone, più ricco di lui, spendeva un sacco di soldi suoi per iniziative popolari, ne aveva intraprese altrettante, ma coi soldi pubblici.
Ricorda ancora Plutarco che secondo molti a causa di queste elargizioni senza criterio il popolo fu abituato male e divenne dissoluto e spendaccione anziché moderato e lavoratore. Non solo, ma in certe occasioni Pericle aveva usato i beni pubblici per le sue elargizioni demagogiche, così che “avendo allentato le redini del popolo, si occupava di politica per ingraziarselo, provvedendo che in città  ci fosse sempre qualche spettacolo pubblico, o banchetto o processione, intrattenendo la città  con piaceri non rozzi, inviando sessanta triremi ogni anno, sulle quali molti cittadini navigavano stipendiati per otto mesi, praticando e insieme imparando l’arte nautica. (…)
Pericle, che si voleva campione di democrazia, non poteva usare con gli ateniesi la forza, ma doveva richiederne il consenso, e per ottenere il consenso popolare non è indispensabile essere nel giusto, basta usare delle accorte tecniche di persuasione. E Pericle si era allenato sin da giovane ad essere oratore convincente ed affabile, che sapeva sostenere anche fisicamente la sua fama di persona affidabile, visto che, come ci dice ancora Plutarco “non solo ebbe una mente grave e un linguaggio elevato immune da volgare e comune loquacità , ma anche l’espressione del volto inflessibile al riso, la mitezza dell’andatura e la decenza della veste che non si agitava per alcun trasporto nel parlare, la modulazione quieta della voce”.
Il discorso di Pericle (riportato da Tucidide, in Guerra del Peloponneso) è stato inteso nei secoli come un elogio della democrazia, e in prima istanza è una descrizione superba di come una nazione possa vivere garantendo la felicità  dei propri concittadini, lo scambio delle idee, la libera deliberazione delle leggi, il rispetto delle arti e dell’educazione, la tensione verso l’uguaglianza. Ma che dice in realtà  Pericle?
Prima naturalmente fa portare in scena le bare (in cipresso) dei caduti, compresa una per quella che chiameremmo oggi il Milite Ignoto, poi così parla: (…) “Io, dato che non voglio fare lunghi discorsi, lascerò perdere, fra questi fatti, le imprese compiute durante le guerre, grazie alle quali furono conquistati i singoli possedimenti, o quando noi o i nostri padri respingemmo con valore il nemico barbaro o greco che ci attaccava (…). Utilizziamo infatti un ordinamento politico che non imita le leggi dei popoli confinanti, dal momento che, anzi, siamo noi ad essere d’esempio per qualcuno, più che imitare gli altri. E di nome, per il fatto che non si governa nell’interesse di pochi ma di molti, è chiamato democrazia; per quanto riguarda le leggi per dirimere le controversie private, è presente per tutti lo stesso trattamento; per quanto poi riguarda la dignità , ciascuno viene preferito per le cariche pubbliche a seconda del campo in cui sia stimato, non tanto per appartenenza ad un ceto sociale, quanto per valore; e per quanto riguarda poi la povertà , se qualcuno può apportare un beneficio alla città , non viene impedito dall’oscurità  della sua condizione”.
Come discorso populista non è male salvo che Pericle non menziona il fatto che in quei tempi ad Atene c’erano, accanto a 150.000 abitanti, 100.000 schiavi. E non è che fossero solo barbari catturati nel corso di varie guerre, ma anche cittadini ateniesi. Infatti una delle leggi di Solone stabiliva di togliere dalla schiavitù i cittadini diventati servi a causa dei debiti verso i latifondisti. Segno che erano servi anche altri cittadini, caduti in schiavitù per altri motivi. E d’altra parte, circa cent’anni dopo Aristotele avrebbe scritto (Politica I): “Un essere che per natura non appartiene a se stesso ma a un altro, pur essendo uomo, questo è per natura schiavo (…). Comandare ed essere comandato non solo sono tra le cose necessarie, ma anzi tra le giovevoli, e certi esseri, subito dalla nascita, sono distinti, parte a essere comandati, parte a comandare. (…) Ora gli stessi rapporti esistono tra gli uomini e gli altri animali: gli animali domestici sono per natura migliori dei selvatici e a questi tutti è giovevole essere soggetti all’uomo, perché in tal modo hanno la loro sicurezza. Così pure nelle relazioni del maschio verso la femmina, l’uno è per natura superiore, l’altra inferiore, l’uno comanda, l’altra è comandata – ed è necessario che tra tutti gli uomini sia proprio così. Quindi quelli che differiscono tra loro quanto l’uomo dalla bestia (e si trovano in tale condizione coloro la cui attività  si riduce all’impiego delle forze fisiche ed è questo il meglio che se ne può trarre), costoro sono per natura schiavi” (…).
Ma ogni epoca ha le sue debolezze, e lasciamo a Pericle di celebrare questa sua democrazia di schiavi. Però il nostro così prosegue: “Noi… ci procurammo moltissime occasioni di svago dalle fatiche, per il nostro spirito, dato che celebriamo secondo la tradizione giochi e sacrifici per tutto l’anno e grazie a case e suppellettili eleganti, il cui godimento quotidiano allontana lo sconforto”. E qui siamo di nuovo al populismo Mediaset e all’elogio del consumismo.
Ma andiamo avanti. A che cosa mira questo elogio della democrazia ateniese, idealizzata al massimo? A legittimare l’egemonia ateniese, sugli altri suoi vicini greci e sui popoli stranieri. Pericle dipinge in colori affascinanti il modo di vita di Atene per giustificare il diritto di Atene a imporre il proprio dominio sugli altri popoli dell’Ellade (…). Segue l’elogio militare degli ateniesi che combattono sempre bravamente per difendere la loro terra. Pericle si dimentica di rilevare che (e proprio sotto il suo governo) erano stati riconosciuti come cittadini ateniesi solo coloro che avevano tutti e due i genitori ateniesi. Quindi c’erano gli schiavi, i veri cittadini ateniesi e i meteci, qualcosa come degli extracomunitari con diritto di soggiorno, che non erano cittadini a pieno diritto e non potevano votare – anche se tra coloro possiamo annoverare personaggi come Ippocrate, Anassagora, Protagora, Polignoto, Lisia o Gorgia.
Ma non è finita: “Non ci procuriamo gli amici ricevendo benefici, ma facendone. Dunque chi fa un favore è un amico più sicuro, tanto da conservare il favore dovuto grazie alla riconoscenza di colui al quale egli l’ha dato”. Il che francamente mi sembra un principio mafioso.
Tornato poi ai defunti, Pericle osserva che bellamente sono morti per difendere una città  che è di modello a tutto il mondo (e cara grazia che abbia lasciato a un suo futuro collega il compito di celebrare il proprio “popolo di poeti, di artisti, di eroi, di santi, di navigatori”). (…) Comunque i genitori dei caduti, ascesi all’olimpo degli eroi, non si debbono dolere perché li deve animare “la speranza di avere altri figli, per coloro che sono ancora in età  adatta per avere figli: infatti, su un piano privato, i nuovi figli costituiranno per alcuni la possibilità  di dimenticare quelli che non ci sono più, per la città , poi, sarà  utile in due modi, contro il divenire spopolati e per la sicurezza: infatti non è possibile che prendano decisioni imparziali e giuste coloro che corrono dei rischi senza esporre al pericolo anche i propri figli come gli altri”.
Il che mi pare solo sfacciataggine, ma sembra che ai dolenti questa oratoria piacesse. Così che l’oratore può concludere con “Ora, dunque, dopo aver compianto ciascuno il proprio parente, tornate alle vostre case”, che – traducendo alla buona – significa “e ora smammate e non rompete più le scatole con i vostri piagnistei” (…).
Ecco perché bisogna sempre diffidare del discorso di Pericle e, se lo si dà  da leggere nelle scuole, occorrerà  commentarlo, ricordando che molti padri di tante patrie sono stati figli di un’etera.

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