Nigeria, strage di cristiani a una veglia funebre gli estremisti islamici di Boko Haram: “Via tutti”

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Ventotto morti in due giorni. La Nigeria brucia. Per le esplosioni, gli attentati, le raffiche di armi automatiche che colpiscono cittadini inermi. Uomini e donne che hanno una sola colpa: essere cristiani. Vengono perseguitati da una banda di estremisti islamici, soprannominati i Taliban nigeriani, nota sotto la sigla di Boko Haram, particolarmente attiva nel Nord del paese dominato da una maggioranza musulmana. Fautrice di una dottrina che, tra l’altro, incita alla cacciata dalla Nigeria di tutti i non musulmani, la setta aveva rivendicato la responsabilità  di una serie di attentati in tre chiese cristiane che aveva provocato 49 morti e decine di feriti durante la messa di Natale. Tre giorni fa, allo scadere dell’ultimatum con il quale avevano chiesto l’esodo forzoso di tutti i cristiani, i radicali islamici sono tornati in azione.
Giovedì sera un gruppo armato ha fatto irruzione in un centro di preghiera a Gombe, nell’omonimo stato nordorientale, e ha fatto fuoco all’impazzata sui fedeli. «La gente era raccolta nella piccola navata della chiesa», ha raccontato il pastore John Jauro che nella sparatoria ha perso la moglie. «Stavano pregando con gli occhi chiusi e la mani giunte. Ci sono stati sei morti e dieci feriti». Nella notte in un’irruzione nell’hotel “Good Will” di Kano, sempre nel nordest della Nigeria, erano morte cinque persone: cristiane e d’etnia Igbo. Martedì un altro gruppo armato aveva preso d’assalto un commissariato di polizia dello stato settentrionale di Jigawa, risparmiato dallo stato d’emergenza decretato dal governo centrale dopo gli attentati di Natale. Un bambino era stato ucciso e un agente ferito. Mercoledì sera altre due forti esplosioni avevano squassato altre due città  del nord. Ma è stata l’aggressione di ieri pomeriggio nella cittadina di Mubi, nello stato nordorientale di Adamawa, a suscitare una presa di posizione angosciata del vescovo di Jos, il monsignor Ignatius Ayau Kaigama: «La situazione è tragica», ha denunciato a Radio Vaticana. Questa volta i Boko Haram hanno fatto irruzione in una casa dove amici e parenti di una delle sei vittime assassinate il giorno prima a Gombe si erano radunati per una veglia funebre. È stata una carneficina: 17 morti crivellati di colpi. Immediata la rivendicazione del gruppo islamista: «Siamo noi i responsabili degli attacchi a Mubi e Gombe».
I continui massacri hanno creato un clima di vero terrore. Sullo sfondo si agita la fortissima tensione dovuta all’aumento del prezzo del carburante. Il suo raddoppio il due gennaio è stato visto come una provocazione in un paese che è il primo produttore mondiale di petrolio. Il problema è la raffinazione del greggio: gli impianti sono obsoleti e la corruzione, legata alla commercializzazione del prodotto, finisce per dissanguare le finanze dello Stato. Far pagare 80 centesimi al litro invece di 35 è stato come accendere una miccia in una polveriera: in Nigeria si vive con due dollari al giorno. Da lunedì due potenti sindacati nigeriani hanno proclamato uno sciopero a oltranza in tutto il paese fino a quando l’aumento non sarà  revocato. Il rischio è una paralisi dell’attività  economica. Con lo spettro degli estremisti dei Boko Haram che soffieranno sul malcontento per ottenere maggior consenso.


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