by Editore | 5 Gennaio 2012 10:00
Che il futuro sarebbe stato durissimo qui lo sapevano prima del 2009; lo sapevano mentre sfondavano i cordoni della polizia per devastare il Municipio nel maggio scorso, contro il piano che sanciva la chiusura; in quell’occasione, l’immagine della testa di Garibaldi dentro a un water fece il giro dei telegiornali, diventando il simbolo di un’isolata lotta per la tutela del diritto al lavoro nell’anno del centocinquantesimo anniversario dell’unità italiana. Mesi fa, durante la commemorazione di un capo reparto della navale, tra gli operai dominava lo sconforto, anche se era appena arrivato il materiale per la costruzione di uno dei pattugliatori ordinati dalla Guardia Costiera. Negli ambienti sindacali si diceva che gli operai erano stati ingannati, che dopo queste due costruzioni non ci sarebbe stato più nulla e che i discorsi di governo e Fincantieri non erano stati nient’altro che fumo negli occhi.
Il futuro della cantieristica era stato scritto in un momento preciso, raccontano gli operai. All’inizio degli anni novanta, un libro bianco dell’Iri parlava di un settore da dismettere. Erano gli anni della concorrenza asiatica e della ristrutturazione all’interno dei cantieri, in cui i lavoratori furono ridotti di un terzo. Le battaglie sindacali, decise a difendere il settore in quanto tale, ebbero successo. Dal gruppo dirigente allora nacque l’idea della costruzione di navi da crociera, e tre anni dopo, l’azienda di ciò che era stato definito un presunto settore maturo diventò leader mondiale in quell’importante nicchia di mercato. I cantieri non chiusero, ebbero una fase di crescita che durò per anni. Tuttavia, lo sviluppo provocò la perdita del controllo sul processo, e l’azienda reagì usando gli appalti, esternalizzando le responsabilità . Nonostante il carico di lavoro s’iniziò a parlare di un buco generato dagli sprechi, dai ritardi e dai rifacimenti. La questione fu denunciata dal sindacato, e quando l’Iri scoprì l’esistenza di questa voragine intervenne commissariando l’azienda, inviando Pier Francesco Guarguaglini che riuscì a mettere in sesto la situazione. In poco tempo il processo tornò di nuovo sotto controllo e il conto economico diventò positivo.
Ma i veri problemi arrivarono con il nuovo gruppo dirigente. Guarguaglini fu sostituito da Giuseppe Bono, che tirò fuori l’ipotesi della quotazione in borsa, contrastata efficacemente dalla Fiom. Avendo appaltato lavoro e progettazione, era avvenuta una dispersione di competenze, e gli effetti scendevano a cascata su tutta la filiera. L’epicentro di questo terremoto è stato Castellammare. L’azienda trascurò degli aspetti fondamentali relativi alla costruzione di cinque traghetti finlandesi, e quando cominciarono i lavori i problemi vennero a galla. Il capo del settore trasporti, dopo i primi allarmi, considerò giusti i dubbi di un caporeparto del cantiere stabiese, ma il gruppo dirigente lo umiliò per la sua volontà di averlo ascoltato, e l’ingegnere diede le dimissioni. Il suo sostituto ordinò di varare subito, senza prestare ascolto a nessuno. Fu un errore di proporzioni epocali, che su una nave da crociera avrebbe prodotto il fallimento.
Fincantieri perse cinquecento milioni di euro su queste commesse. Ma non è tutto. Fincantieri aveva manifestato la volontà di liberarsi dei cantieri di Castellammare, Ancona e Palermo. Alla fine degli anni novanta, l’azienda voleva scorporare dal gruppo quest’ultimo, ma una vertenza riuscì a impedirlo. Quest’idea serviva come alibi, convinti che, sfondato quel muro, sarebbero riusciti a estendere la chiusura degli altri cantieri e concentrare tutto sulle crociere nei cantieri di Monfalcone e Marghera. La chiusura di Castellammare fu valutata in seguito. Non era stato possibile chiudere due stabilimenti del sud; inoltre c’era già la questione di Termini Imerese. Il nuovo piano parla di disimpegno industriale nei cantieri di Castellammare e Sestri Ponente. La logica dei tagli porterà al rischio di una progressiva perdita della capacità produttiva, e a quel punto non resterà che uscire dalla cantieristica. Ecco il futuro del cantiere in agonia di Castellammare, già scritto da anni. Cosa accadrà agli operai quando si spezzerà il vincolo tra il cantiere e la città ? La frustrazione di chi è sospeso tra il lavoro, la cassa integrazione e il nulla, ci parla di una battaglia persa anni addietro, e forse di un trauma collettivo che esploderà , se non è già esploso, provocando effetti disastrosi.
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