by Editore | 13 Gennaio 2012 7:02
TOLEDO (OHIO) – Il ragazzo con la t-shirt e le scarpe da ginnastica lancia una rapida occhiata al gruppetto di visitatori. E’ addetto alla postazione 405 lungo il montaggio della Jeep Liberty. Ha il compito di sistemare alcuni particolari elettrici nella zona motore e di avvitare due bulloni nella parte posteriore. Il ragazzo affronta la scocca, taglia un cinturino di plastica, libera il cavo elettrico, lo sistema nella parte frontale, sfila una guaina di gomma, aggiunge un secondo cavo, gira intorno alla scocca, prende due bulloni dalla cassettiera, arriva all’altezza dei fanali, avvita in due punti diversi della Jeep. Poi lascia la scocca e affronta la successiva. In tutto sette operazioni. In tutto 40 secondi.
«E’ molto veloce ma non dà quell’impressione», ammette Mauro Pino, direttore dello stabilimento, osservando la danza del ragazzo tra viti e fili di gomma. La postazione 405 ha venti secondi di tolleranza tra un pezzo e l’altro, la linea della Liberty viaggia a un minuto. Quella del Wrangler, nel capannone di fianco, va un po’ più lenta, 80 secondi a pezzo. Sono i ritmi di un mercato che su questa sponda dell’Atlantico è tornato a tirare: «Sovracapacità produttiva? Non so che cosa sia. Nel mio stabilimento, fortunatamente, ho il problema opposto», dice il direttore. Pino è un palermitano che ha girato le fabbriche di tutto il mondo. E’ riuscito a scappare dalla Fiat che stava affondando, nel 2001, ma pochi anni dopo l’ad del Lingotto lo ha richiamato per far rinascere lo storico stabilimento della Jeep.
Oggi Toledo esporta in 90 paesi del mondo, occupa 2.200 dipendenti, sforna 1.200 auto al giorno. Soprattutto, applica alla lettera i dettami della filosofia di Marchionne nel campo dell’organizzazione del lavoro. Qui si lavora con turni di 10 ore per quattro giorni: «Ma se è necessario anche cinque. Oltre si può solo su base volontaria», dice il direttore. Che preferisce i due turni da 10 ore rispetto ai tre turni da otto: «Paghi lo straordinario ma risparmi i costi di un terzo turno. E soprattutto, hai due ore di tempo tra un turno e l’altro per fare manutenzione degli impianti. Altrimenti, soprattutto in verniciatura, rischi di produrre modelli difettosi». Un lusso, quello di recuperare auto difettose, che i tempi del mercato non consentono. Sono state abolite le postazioni a lato linea dove un tempo l’operaio andava a scegliere le parti da montare. Ora ogni scocca è seguita da un carrello con i pezzi giusti in sequenza. La difettosità è scesa così dal 30 a 4 per cento. A fondo linea c’è un addetto che controlla: al secondo richiamo chi ha sbagliato torna a fare il corso di formazione.
Come si fa a lavorare a questi ritmi per dieci ore al giorno? Cinque di lavoro, mezz’ora di pausa mensa e altre cinque prima di tornare a casa? Dan Hennaman è il responsabile sindacale dello stabilimento: «Certo è faticoso e non sono mancati i lavoratori che hanno avanzato critiche. Ma sono una minoranza. Per la grande maggioranza questo sacrificio ha aspetti positivi. Guadagni più dollari e risparmi. Venire a lavorare solo quattro giorni significa abbattere i costi di trasporto». Se Pino non ha il problema della sovracapacità produttiva, Hennaman non ha quello del dissenso. «Tra Natale e Capodanno – racconta il direttore – avremmo dovuto chiudere la fabbrica. La rete commerciale ci ha chiesto di produrre 5.000 jeep in più. Abbiamo chiesto agli operai di venire a lavorare su base volontaria. Il sindacato era d’accordo. Ha detto sì il 98% dei dipendenti»
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