MORESCO NON SI TOCCA

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MORESCO – Sono contro il cemento. Per partito preso. In un paese corrotto come il nostro dove c’è cemento è sempre in corso qualche affare losco, una speculazione, stanno girando mazzette da mani prensili di schifosi palazzinari, si è aggirata o violata qualche legge. Così quando mi hanno detto che a Moresco, paese gioiello della torre eptagonale, luogo incantato di molte mie passeggiate, vogliono edificare proprio sotto la cinta muraria, sono andato a vedere. Quando penso ai luoghi dell’anima come quelli della Luna e i falò di Cesare Pavese, penso a Moresco: «Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti». Molte volte dico a mia moglie che gli ultimi anni della mia vita li vorrei passare in uno di questi paesini che mi riportano alla terra e all’infanzia, alle lunghe giornate appartate e silenziose senza tempo. Luoghi non ancora «bruttati dalle merci» come scriveva Pasolini, stuprati dal consumismo e dall’oscenità  dei centri commerciali. 
Ecco, a Moresco invece c’è ancora una merce molto rara oggigiorno, il silenzio, ma è gratis. Così quando inizio questa passeggiata con Pino Sacchini, che è stato sindaco della città  per quasi vent’anni, mi accorgo che alla chiesa di Santa Sofia ci sono venuto molte altre volte. Ritrovo la fila di cipressi rassicurante e alla fine della discesa un’altra chiesetta, quella di San Lorenzo, patrono della città , dove fino a cento anni fa venivano sepolti i moreschini morti. Più avanti ancora c’è quella di Santa Maria dell’Olmo, con una edicola votiva disegnata da Vincenzo Pagani. Questo era il percorso antico delle chiese rurali. E proprio qui una volta c’erano dei ruderi di case e delle porcilaie, che furono abbattuti per ridare dignità  a questo paesaggio morbido di colline, quelle un po’ magiche dove Licini faceva volare le sue Amalassunte e Tullio Pericoli correre furiosi cinghiali, in queste colline che sono il nostro vero patrimonio genetico.
Ora in questa parte di Moresco dove dal borgo si scende verso la campagna e in pochi passi si ritrova l’Antico, secondo un progetto fortemente voluto dall’amministrazione comunale dovrebbero essere edificate quindici casette ipogee. «Non si capisce perché», si chiede Sacchini, «visto che proprio da questa parte, però più in basso, un costruttore locale ha tirato su ventiquattro appartamenti e non li compra nessuno, mentre nel centro storico ci sono molte case in vendita abitabili o da ristrutturare». Infatti spesso, come ben sappiamo, edificare non ha nessuna vera utilità . Costruire case non serve se non a spostare capitali e a favorire le cosiddette “speculazioni edilizie”, secondo un sistema di sviluppo che ha distrutto a macchia di leopardo pezzi interi di penisola. E qui dovrebbero sbancare un pezzo di collina, fare dei muri di sostegno, cancellare questo crinale, fatto di pini e alberi centenari, e sostituire la vegetazione con il cemento.
Fotografando questo posto ad opera conclusa nella cartolina del paese, quella che si può acquistare qui e spedire per posta agli amici, un pezzo di verde sparirebbe e al suo posto si vedrebbero edificazioni che non c’entrano niente con tutto il resto. Per scongiurare la costruzione di queste case è intervenuto anche lo sceneggiatore novantunenne Tonino Guerra con un messaggio filmato molto toccante nella quale ammonisce civilmente, con garbata civiltà  il sindaco: «Il vostro è uno dei paesi più magici d’Italia e il giardino lì accanto è un luogo di sogno e di canto degli uccelli. Posso garantire, io che mi batto per la bellezza, che è un peccato. E molto difficile fare le cose nuove, e so benissimo che è spinto a farle, però do un richiamo preciso: cerchi di non sbagliare perché per tutta la vita qualcuno parlerà  male di lei. Lasciate stare quel giardino, non toccatelo». Ma il giovane sindaco di destra non ha intenzione di mollare, mosso da imperativi categorici e assoluti, peraltro ben chiari nel Progetto: «La ricostituzione del vecchio tessuto urbano» (leggasi alcune porcilaie cadenti e un rudere di casa colonica), e addirittura «miglioramento paesistico-ambientale di una zona adiacente al centro storico attualmente non valorizzata». Il linguaggio è in genere quello che nobilita certe scellerate scelte politiche, ma queste migliorie che farebbero i cementificatori suonano alquanto ridicole, e forse tutta questa insistenza fa pensare che gli interessi siano altri, uno dei quali potrebbe essere quello di lasciare un segno, che in genere muove l’ambizione di chi fa politica, anche se in un paese di seicento abitanti.
Tra i campi, sotto il borgo storico, c’è il monumento di Ugo Nespolo, che qui veniva a trovare una zia da ragazzo. È molto colorato, come tutte le opere di questo artista bizzarro, e composto da un piedistallo con una torre (che però ha un lato in meno di quella naturale, mi hanno detto) e sopra il numero 100, di colore giallo vivo. Non sono metri, sono anni, gli anni di una celebrazione importante per gli amministratori di Moresco, che con quest’opera l’hanno voluta solennemente ricordare, è il numero di quelli passati dall’indipendenza da un altro piccolo comune a un tiro di schioppo da qui, Monterubbiano, ottenuta con regio decreto firmato da Vittorio Emanuele III nel 1910, tremila anime tutte e due, considerando anche i forestieri che qui sono venuti a vivere o hanno acquistato una casa per le vacanze proprio per la bellezza del luogo, come l’antropologo formatosi al laboratorio parigino di Lévi-Strauss Remo Guideri, o il docente di letteratura tedesca a Venezia Antonio Liberi, tra i più accesi sostenitori dell’associazione “Moresco amata” e contro il progetto edilizio. Speriamo che adesso questi amministratori “autonomisti” non s’inventino qualche radice celtica, come hanno fatto certi su al nord.


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