by Editore | 31 Gennaio 2012 9:42
Sul tema caldissimo dell’articolo 18 continuano a rincorrersi voci e indiscrezioni sul tavolo che si riaprirà domani: ieri la giornata è stata dominata da una presunta «novità » pubblicata da Repubblica, secondo cui il governo vorrebbe proporre ai sindacati la cancellazione dell’articolo 18 solo per i neo assunti, «salvando» chi già oggi gode di questo diritto. Ma è praticamente la scoperta dell’acqua calda, dato che Mario Monti sin dal suo insediamento ha ripetuto che non verranno toccati i diritti acquisiti (operazione che, tra l’altro, avrebbe implicazioni di carattere costituzionale) e che si cambieranno le regole solo per i nuovi ingressi. Dall’altro lato, sembrerebbe prevalere di nuovo l’ipotesi Ichino (articolo 18 mai, ma un risarcimento al posto del reintegro) rispetto a quella Boeri-Garibaldi (che invece prevede la «maturazione» dell’articolo 18 pieno alla fine dei tre anni).
Anche in quest’ultimo caso, in realtà nessuna vera novità in senso letterale: è un «rimpallo» tra teorie giuslavoristiche cui siamo abituati da mesi, ma piuttosto pare rafforzarsi la messa in soffitta totale della giusta causa e del reintegro, al contrario di quello che vorrebbe la maggioranza del Pd (che ha di fatto sposato la Boeri-Garibaldi con il suo «Cui», Contratto Unico d’Ingresso), a favore delle preferenze totalmente liberiste del professor Ichino (e, almeno personalmente, della stessa ministra Elsa Fornero).
Ma ieri è stato anche il giorno del dibattito per via epistolare tra il fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari, e la segretaria della Cgil Susanna Camusso. Il primo, nel suo editoriale di domenica, aveva citato un discorso di Luciano Lama del 1978, in cui si invitava sostanzialmente il sindacato a farsi carico di sacrifici per responsabilità nazionale (tra l’altro, la moderazione salariale e una limitazione della cassa integrazione), vista la delicatezza del momento storico. Camusso, nella sua replica, non ha respinto l’idea della responsabilità nazionale, ma dall’altro lato ha sottolineato che «non siamo più nel 1978», che la realtà economica e sociale è molto diversa rispetto a 35 anni fa e che oggi «la priorità sono i lavoratori precari».
Tra le prime macro-differenze rispetto al 1978, c’è, spiega la leader Cgil, «la distribuzione del reddito tra profitti e retribuzioni che non aveva lo squilibrio di oggi», mentre allo stesso tempo «la produttività decresce non per colpa dell’articolo 18 ma, al contrario, al crescere della precarietà , che non ha neanche incrementato l’occupazione, producendo invece quel lavoro povero su cui sarebbe bene interrogarsi».
Al tavolo con il governo, ricorda ancora Camusso, «ci siamo trovati di fronte a un documento del ministro non condiviso da nessuno». «Pensiamo sia utile proporre un negoziato vero e non affidarsi a ricette preconfezionate il cui fallimento è nei numeri della precarietà e della disoccupazione – aggiunge infine – Siamo i primi ad apprezzare che l’Italia sia tornata al tavolo dei grandi, ma se ogni scelta presenta il conto solo al lavoro abbiamo il legittimo dubbio, anzi la certezza, che si affronta il “nuovo” con uno strumento antico e che il fine non sia far ripartire il paese ma “salvare il soldato Ryan”. Se sarà così non si salverà l’Italia ma una sua piccola parte, che forse non ha bisogno di salvarsi, perché lo fa già tra evasione, sommerso e lobbismo».
La Cgil continua a portare avanti la proposta unitaria, basata su un apprendistato allungato fino a tre anni senza articolo 18 (ma dopo l’assunzione, incentivata da fondi pubblici, la tutela dovrebbe essere piena). Anche la Cisl è tornata a dire, con il segretario Giorgio Santini, che «bisogna migliorare apprendistato e inserimento, insieme agli ammortizzatori, abbandonando l’idea di demolire l’articolo 18».
Il Pd mantiene con Stefano Fassina la proposta del Cui, ma resta di fatto «polarizzato» tra le posizioni opposte di Pietro Ichino e Cesare Damiano. Il primo, a L’aria che tira (La 7), ha detto che «la metà della forza lavoro in Italia è esclusa dall’articolo 18: la priorità adesso è quella di attivare un meccanismo che sostenga il reddito», mentre per il secondo «non si deve parlare di articolo 18, perché complica l’accordo: togliere questa tutela ai nuovi assunti, istituzionalizzerebbe la dualità e discriminazione che oggi si dice di voler combattere».
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