Mille storie in un relitto

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Relitti, immersi in un silenzio senza tempo, carcasse immobili nel pulviscolo, coperte di anemoni di mare e denti di cane, ultimo nascondiglio di pesci e fantasmi nella penombra afona del profondo. Ci sono millenni di storia negli abissi del Mediterraneo. Legni, ferri, cannoni, anfore, alberature, ancore, catene, stoviglie, fumaioli. Sarcofagi pieni di storia, cimiteri sterminati, ultima frontiera dell’esplorazione. Quello della Concordia, appoggiata di fianco sui fondali dell’Isola del Giglio, è solo l’ultimo (e in assoluto il più grande) dei relitti esplorati dai sommozzatori lungo il perimetro della penisola che fa da tempestoso baricentro al mare di mezzo. Dal Golfo del Leone allo Jonio, da Trieste allo stretto di Otranto, la mappa dei nostri fondali è piena di questi rugginosi monumenti alla caducità  dell’umano.
I relitti non narrano solo il passato ma predicono anche il futuro. Spesso annunciano la caduta di imperi e civiltà . Trovare i resti di navi onerarie romane, lì in quello spazio atemporale, è un po’ come ritrovare Atlantide. Alcuni sono scivolati nel mito, come la corazzata Roma, che solo settant’anni dopo l’affondamento, è stata localizzata 33 miglia a Nordovest dell’Asinara. Altri sono pura leggenda, come la Sémillante, fregata francese disintegrata con ottocento uomini dagli scogli terribili di Lavezzi, isola nelle Bocche di Bonifacio che è diventata cimitero, casa degli spiriti dove ancora oggi i pescatori sentono il lamento dei naufragati. Ma ci sono scheletri sommersi che anticipano l’oggi, come il Baron Gautsch, nave passeggeri austriaca finita contro una mina “amica” appena deposta sulla costa istriana, il giorno stesso dell’inizio della Grande Guerra, che affondando fece le prime vittime civili delle guerre contemporanee. 
«Il relitto e gli atti del processo per quella disgrazia che fece oltre cento morti», dice Pietro Spirito, autore de L’antenato sotto il mare. Viaggio nella frontiera del sommerso e anche di un libro sull’ultimo viaggio del Baron Gautsch, «restituiscono situazioni-fotocopia rispetto al disastro del Giglio». Troppe cose si assomigliano: la sconsideratezza della manovra, il comandante che latita e poi minimizza il danno con i passeggeri. Stessa dinamica: la difficoltà  di calare le lance, le baruffe tra equipaggio e passeggeri, stesse illazioni sulle distrazioni del quadro di comando, e stesso epilogo, col comandante che viene messo ai ferri appena a terra.
«Anche il Gautsch», spiega Spirito, «era il gioiello dell’epoca e anche quello andò giù per un clamoroso errore umano ai limiti della bravata. Ci sono tanti relitti più importanti del Gautsch nel nostro mare. Ma nessuno ha un simile valore simbolico. Nessuno è così gravido di ammonimenti. E nessuno, forse, è così perfettamente visibile, in assetto di navigazione, coperto di concrezioni e brandelli di reti da pesca, a 40 metri di profondità . Ho potuto entrare nella cabina del comandante, nuotare sui ponti. Ho visto la storia». C’è un mondo di spettri, là  sotto, a portata di sub. Nel Tirreno, il postale Lucia affondato al largo di Ventotene da un attacco aereo inglese. Il Città  di Bergamo, spolpato dai cercatori, nel fondale sabbioso dello Jonio, rifugio di cernie e scorfani poco al largo di Capo Spartivento, in direzione di Brancaleone. Il brigantino Mercurio, affondato durante la battaglia navale che nel 1812 costò a Napoleone l’egemonia nell’Adriatico. O la corazzata ungherese Szent Istvà n, silurata dai Mas di Luigi Rizzo nel maggio del 1918, relitto impressionante e quasi inesplorato, crollato sui fondali davanti a Premuda in Dalmazia. Un mondo.


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