Media digitali, “in Italia pesanti pressioni politiche”

by Sergio Segio | 5 Gennaio 2012 18:28

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Roma – “Persino nell’era digitale, i mezzi di informazione italiani operano in un clima di pesanti pressioni politiche”. E’ il giudizio sui media digitali in Italia contenuto in un recente rapporto dell’Open Society Foundations, redatto da Gianpietro Mazzoleni, Giulio Vigevani e Sergio Splendore. La ricerca sottolinea come di fronte alle sfide della digitalizzazione, le politiche messe in atto dal precedente governo appaiono “orientate al mantenimento del duopolio Rai-Mediaset nella televisione in chiaro, così come nel mercato pubblicitario”. Consumo, società , servizio pubblico, giornalismo, tecnologia, business e politiche connesse ai media digitali sono i principali capitoli in cui è diviso il lavoro. “La digitalizzazione non ha prodotto un significativo impatto sulla proprietà  dei mezzi di comunicazione” scrivono gli autori. Il mercato televisivo è ancora caratterizzato dal tradizionale duopolio Rai-Mediaset, che discende dall’assenza di un adeguata normativa che regoli la concorrenza nel settore. I due giganti dell’emittenza continuano a controllare insieme circa l’80 % dell’audience, contro circa il 10 % di Sky. Si indeboliscono le emittenti locali, peggiora la libertà  di informazione nel belpaese. Il rapporto “sollecita la società  civile, le Ong e le organizzazioni internazionali a invocare con urgenza la riforma della legislazione vigente sul conflitto di interessi tra cariche politico-istituzionali e proprietà  dei media”. Secondo l’Osf, “gli stessi soggetti dovrebbero altresì monitorare l’ultima fase del passaggio al digitale, l’assegnazione definitiva delle frequenze digitali e gli effetti sul pluralismo dei media in Italia, al fine di verificare se l’attività  di Parlamento e Governo non privilegi l’attuale duopolio Rai-Mediaset o non favorisca le società  vicine al Presidente del Consiglio dei ministri (l’ex premier Berlusconi, ndr)”. Bocciata senza mezzi termini anche la procedura di nomina del Consiglio di amministrazione e del Direttore generale della Rai. “Basata tradizionalmente su criteri di spartizione tra Governo, maggioranza parlamentare e opposizione, tale procedura appare incompatibile con le linee guida del Consiglio d’Europa sulle garanzie di indipendenza delle emittenti di servizio pubblico” si legge nelle osservazioni. Un’ altra richiesta è una riforma che rafforzi l’indipendenza dell’Agcom, i cui membri non dovrebbero essere nominati dal Governo ma dal Parlamento, dal Presidente della Repubblica e dalle Regioni. Pur fotografando gli squilibri e l’anomalia italiana, il rapporto apre spiragli di miglioramento per il futuro dei mezzi di informazione online, grazie alla diffusione del web 2.0 con nuovi media e nuovi contenuti, che “potrebbero in futuro rappresentare una credibile alternativa all’informazione diffusa dai media tradizionali”. Un effetto importante si vede da un dato: si è ridotta dal 46,6 al 26,4 % tra il 2006 e il 2009 la percentuale degli italiani per i quali la televisione rappresenta l’unica fonte di informazione, anche se il televisore rimane l’apparecchio elettronico più diffuso nelle case degli italiani, mentre i telegiornali nazionali e i tradizionali giornali cartacei sono le fonti informative più utilizzate dagli italiani per avere notizie di politica e cronaca. Secondo i ricercatori sono indici di qualità  dell’informazione in rete la nascita di numerose piccole redazioni online che forniscono notizie di tipo locale, la crescita di blog e forum, associati al fatto che numerosi giornali online fanno affidamento sui lettori per trovare storie e notizie su temi sociali o su fatti di cronaca. I new media aprono così nuovi spazi di partecipazione per i cittadini. Il giornalismo online italiano è invece influenzato negativamente dalla mancanza di verifica per il ‘lusso’ di poter correggere le notizie anche dopo la pubblicazione. Si tratta di una distorsione causata da un lavoro prevalentemente di desk che subisce la pressione di aggiornare le homepage in “tempo reale”. Secondo la ricerca, un’altra vittima del digitale è il giornalismo d’inchiesta, che non trova spazi a causa delle minori risorse a disposizione dell’online e resta prevalentemente sui grandi network televisivi. Il giornalismo investigativo e sul campo ha costi alti e le redazioni online non possono affrontarli. “La digitalizzazione ha ampliato la diffusione e l’impatto dei risultati di questo tipo di giornalismo” ma non ha aumentato il numero dei soggetti in grado di produrre inchieste. (rc) © Copyright Redattore Sociale

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