Mattanza dei reality. Così la Cina combatte l’occidente
La trasmissione di dating record d’ascolti (50 milioni) della Jiangsu satellite tv continuerà ad andare in onda nel week end in prima serata. Ma per i programmi d’intrattenimento più o meno trash delle televisioni via cavo cinesi è stata una mattanza: dal 1 gennaio 2012 ne sono stati cancellati 88 su 126, i 2/3. Annunciata dall’agenzia di stampa Xinhua, la scure contro l’«intrattenimento eccessivo» si è abbattuta su talent show, reality, talk show e soap opera. Per la maggior parte produzioni a basso costo molto apprezzate dagli inserzionisti pubblicitari, perché capaci d’inchiodare al piccolo schermo milioni di spettatori insoddisfatti dalla programmazione a dir poco «ingessata» dei 13 canali della CCTV, la tv di Stato.
«Le emittenti satellitari hanno iniziato a trasmettere programmi che promuovono le tradizionali virtù e i valori fondamentali del socialismo», recita il comunicato della Sarft, l’organismo che controlla radio, film e televisioni, secondo il quale la campagna contro il «cattivo gusto» nel tubo catodico servirà a «migliorare l’offerta culturale dando al pubblico una programmazione di alta qualità ». L’ultimo plenum del comitato centrale del Partito comunista (Pcc), nell’ottobre scorso, aveva avuto come oggetto di discussione proprio la «riforma culturale». Ne era seguito un giro di vite (maggiore controllo, rimozione di post e gruppi di discussione «sensibili», obbligo per gli utenti di fornire tutti i dati anagrafici) contro i weibo, i micro blog in cui negli ultimi mesi i cittadini hanno criticato le politiche del governo. Dopo quel consesso, la Sarft aveva diramato anche le nuove regole per le tv a pagamento: limite massimo di due programmi d’intrattenimento a settimana per ognuno dei 34 canali satellitari; almeno due ore di notiziario tra le 6 e mezzanotte; minimo due telegiornali da 30 minuti ognuno tra le 18 e le 23:30.
La crociata contro la tv spazzatura non è un fulmine a ciel sereno. Nel 2007 era stato ordinato a Super boy (una competizione tipo X Factor e American Idol) di mandare in onda soltanto canzoni «eticamente ispirate». E nel settembre scorso alla Hunan Satellite Television era stata imposta la cancellazione di Super girl, altra popolarissima gara canora, per aver sforato l’orario. La campagna anti-intrattenimento arriva proprio mentre il presidente Hu Jintao, dalle colonne di Qiushi (Cercare la verità ), la più importante rivista teorica del Pcc, invita ad alzare il vessillo della cultura nazionale contro «l’occidentalizzazione» promossa da non meglio specificate «forze internazionali ostili». «Stanno utilizzando le idee e la cultura per quest’infiltrazione di lungo periodo – ha scritto Hu -. Dobbiamo riconoscere la serietà e la difficoltà di questa battaglia, suonare il campanello d’allarme e prendere misure efficaci per combatterla».
«È esplosa una contraddizione – ha commentato al New York Times Yin Hong, docente di televisione presso l’Università Tsinghua di Pechino -: da un lato si preme per la costruzione di un’industria commerciale, dall’altro ci si chiede se questa commercializzazione abbia causato un declino nella qualità culturale e nell’educazione morale». A che serve combattere gli spettacoli delle tv satellitari e i film di Taiwan, Hong Kong o quelli occidentali se poi circolano liberamente su Youku o nelle versioni pirata su cd? E, soprattutto, che senso ha farlo nel Paese dei 352 negozi Walmart, dei McDonald’s a ogni angolo di strada e della pubblicità che martella ossessiva, nella tv di Stato, i suoi modelli occidentali di vita e di consumo?
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