Malcolm X, la vita activa del rosso di Detroit

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Un giovane proletario autodidatta, incarcerato per alcune rapine, abbraccia la causa dell’emancipazione e diventa un attivista a tempo pieno dell’organizzazione che lo ha attratto durante gli anni di reclusione. Dopo un decennio di intensa militanza e di rapida ascesa verso la dirigenza, egli si accorge di avere sbagliato porta e di essere finito in un’organizzazione perversa che egli stesso ha contribuito a potenziare. A quel punto, per uscirne occorre rischiare la vita. Raccontata così, potrebbe essere la storia di un generoso bolscevico caduto nelle grinfie dello stalinismo negli anni Trenta. Invece si tratta della vicenda tutta africano-americana di Malcolm X (1925-1965) e del suo tentativo di fondare una nuova organizzazione sfuggendo a vari attentati da parte della Nation of Islam (Noi), la setta di cui era stato uno degli esponenti più in vista. 
Sono forse in molti a pensare di conoscere quasi tutto di Malcolm X grazie alla sua Autobiografia che uscì postuma verso la fine del 1965 e che ha poi venduto milioni di copie. La narrazione in prima persona del militante africano-americano aveva colto di sorpresa il pubblico. Era un racconto che spiazzava tutti. Fino ad allora l’immagine del rivoluzionario veniva tradizionalmente associata all’anarchismo, al socialismo, al bolscevismo. Per contro, quella di Malcolm X è un’esperienza che si sviluppa sul terreno teologico-politico della Nazione dell’Islam (Noi), una setta che si richiama a suo modo all’Islam dopo essere sorta a Detroit all’inizio degli anni Trenta sulle ceneri del movimento panafricanista di Marcus Garvey. 
In seguito, anche se il film di Spike Lee (Malcolm X, 1992) cerca di portare acqua al mulino della leggenda, il fascino mitico che l’Autobiografia di Malcolm X esercitava sui lettori negli anni Sessanta e Settanta è venuto attenuandosi a mano a mano che procedevano le ricerche sulla sua vita. È così emersa tra l’altro una verità  essenziale: la sua campagna contro la struttura di potere della Noi diventa una lotta senza quartiere poiché, secondo il Malcolm X degli ultimi anni di vita, l’avvenire degli africano-americani dipende da un’apertura internazionalista. Soltanto tale apertura può sconfiggere qualsiasi teologia politica settaria che si presenti come salvifica. L’impresa estrema di Malcolm è quella di creare una nuova organizzazione internazionale, proprio mentre i ripetuti attentati alla sua vita gli confermano che morirà  assassinato dagli ex-seguaci, accompagnati dal ghigno condiscendente delle forze federali e locali.
Un’opera lunga venti anni
La biografia scritta da Manning Marable, scomparso prematuramente all’inizio di aprile del 2011, pochi giorni prima dell’uscita del volume, ci restituisce la traiettoria di Malcolm X mostrandone la sua umanità , a tratti la sua fragilità , che diventano faticosamente determinazione e impegno a procedere a tappe forzate sulla via dell’anticolonialismo globale a mano a mano che le minacce alla sua vita diventano più pressanti. L’edizione italiana – Manning Marable, Malcolm X. Tutte le verità  oltre la leggenda, con un’attenta e puntuale introduzione di Alessandro Portelli, Donzelli, pp. 615, euro 29,90 -, esce nella tempestiva traduzione di Alessandro Ciappa e Marianna Matullo.
Scrive Marable nel suo Prologo: «Lo scopo principale di questo libro è andare oltre la leggenda: raccontare cosa è accaduto realmente nella vita di Malcolm. Inoltre narro fatti che Malcolm non poteva conoscere, come ad esempio l’entità  della sorveglianza illegale messa in piedi dall’Fbi e dal Dipartimento di polizia di New York e gli atti di sabotaggio ai suoi danni, la verità  su alcuni dei suoi collaboratori che lo tradirono su un piano politico e personale e l’identificazione dei responsabili del suo assassinio». Si può affermare che Marable ha raggiunto lo scopo che si era prefissato all’inizio della sua ventennale fatica, quando aveva notato le incongruenze dell’Autobiografia di Malcolm X, che era stata redatta, curata e – dopo la morte di Malcolm X – rimaneggiata e pubblicata nel 1965 da Alex Haley, scrittore e giornalista repubblicano, il quale distrusse poi i nastri delle interviste su cui il libro si fondava. 
Grazie alle ricerche condotte con l’aiuto di un folto gruppo di assistenti e studenti alla Columbia University, Marable ha gettato le basi del suo libro costruendo una cronologia della vita di Malcolm, rintracciandone puntualmente l’intensa attività  e intervistando familiari, collaboratori e nemici. Ne risulta un quadro in movimento di uno dei protagonisti della storia statunitense dei primi anni Sessanta, che è anche uno squarcio sui corridoi meno illuminati della scena sociale e politica degli Usa. Marable riesce a mettere a fuoco una personalità  complessa, un leader in anticipo sui tempi, un uomo tragicamente solo. Come recita il sottotitolo in inglese, si tratta di «una vita di reinvenzione». 
Malcolm Little, figlio di genitori politicamente attivi nel movimento panafricanista di Garvey, è il ragazzo segnato dalle profonde ferite psicologiche inferte dai razzisti bianchi che gli hanno distrutto la famiglia, è il giovane «Rosso di Detroit» a Harlem, è il manovale, lo spacciatore di droga, il mezzano, il rapinatore – molto meno incallito, secondo Marable, di quanto l’Autobiografia pretenda – è il detenuto No. 22843 nella decrepita Bastiglia di Boston. In prigione si converte alla Noi, la piccola setta islamica di Detroit, adotta il cognome X in segno di risarcimento del nome sottratto agli antenati durante la schiavitù e trova un padre spirituale nel leader della setta, Elijah Muhammad. Uscito nel 1952 dopo quasi sette anni di galera, Malcolm X lavora come operaio dell’auto a Detroit ma diventa ben presto attivista a tempo pieno e poi pastore della Noi.
Il nazionalismo nero
Marable ne traccia l’ascesa nella Noi in qualità  d’instancabile organizzatore e oratore di raro talento. «Stiamo vincendo» è già  in quegli anni il nuovo messaggio di Malcolm che fa leva sulle campagne anticoloniali in atto in Africa e in Asia. Questo suo tema ricorrente si rafforza con la vittoria vietnamita di Dien Bien Phu sull’esercito francese (nel 1954 e non nel 1952, come erroneamente scrive Marable, scombinando la sequenza dell’anticolonialismo di quegli anni). Per parte sua, la Noi rivendica la separazione territoriale dagli Stati Uniti bianchi e la formazione di una nazione nera in un vago Sud, una sorta di indennizzo dei più di 250 anni di schiavitù. L’impostazione della Noi risulta statica e ostile alle campagne in atto per i diritti civili ma tocca una corda sensibile in una frazione significativa di quei milioni di africano-americani che sono immigrati al Nord e all’Ovest dopo essere stati sradicati dalle terre del Sud. Qui, a mio giudizio, Marable sottovaluta la portata del nazionalismo nero di quegli anni, frutto acerbo ma politicamente rilevante dell’espulsione di proporzioni bibliche dalla terra che gli africano-americani hanno subito. Ristretti ormai nello squallore dei ghetti urbani, molti rivendicano un posto al sole. Come Marable stesso riconosce, già  prima che Malcolm X cominci la sua predicazione nel ghetto newyorkese nel 1954, Harlem è piena sia di ex seguaci del panafricanismo di Garvey sia di vari gruppi nazionalisti. Nel suo messaggio, accanto al separatismo Malcolm X introduce nuovi elementi dinamici che suonano estranei alla Noi e ai nazionalisti, il primo dei quali è il carattere internazionale dell’ insorgenza anticoloniale. In breve, il separatismo e l’autodeterminazione della Noi devono trasformarsi e diventare parte integrante di tale insorgenza africana e asiatica.
A fronte dell’ignavia e degli scandali della dirigenza della Noi, Malcolm X si pone in rotta di collisione con gran parte dei capi della setta nei primi anni Sessanta. Sposato con una correligionaria in un matrimonio che Marable tratteggia come un’unione instabile, e padre di cinque bambine, Malcolm X sa bene che la Nazione dell’Islam possiede strumenti efficaci per ucciderlo. A quel punto della sua vita il pastore che a suo tempo ha organizzato le squadre di picchiatori per la disciplina interna del Noi prende le distanze dalla pratica della violenza psicologica e fisica da sempre adottata nei confronti di ribelli e trasgressori. In realtà , la dirigenza della Noi gestisce la setta come se fosse una piantagione: i membri, in stragrande maggioranza poveri, vivono socialmente separati dal resto della società , lavorano duramente, contribuiscono con quote rilevanti del proprio reddito alle attività  delle loro moschee, si dedicano ai lunghi rituali del culto, sopportano severe punizioni a ogni mancanza. Mentre l’orizzonte di Malcolm si apre al mondo, soprattutto grazie agli ultimi due viaggi nel Medio Oriente e in Africa, la sua estraneità  rispetto alla Noi non può che aumentare. Malcolm è sicuro che la rottura gli costerà  la vita.
L’ultimo viaggio
I cinque capitoli finali del libro di Marable ricompongono giorno dopo giorno gli ultimi nove mesi di vita di un leader minacciato ma capace delle scelte più difficili. Malcolm progetta e poi lancia un suo movimento, l’Organizzazione dell’unità  afro-americana, a cui affianca un gruppo di fedelissimi di Harlem, raccolti nella «Moschea musulmana». Il suo estremo viaggio, che in 19 settimane lo porta dal Cairo attraverso varie capitali africane, era stato liquidato brevemente dal curatore Haley nell’Autobiografia. Per contro, nel libro di Marable i particolari sono le tessere di un mosaico in cui Malcolm X sembra prendere una lunga pausa prima di affrontare il destino che i suoi assassini stanno preparando a Harlem. Questo è il periodo in cui egli rivede criticamente il proprio passato, cerca di porre riparo agli errori commessi, dall’antisemitismo agli attacchi contro i militanti antirazzisti bianchi, colma con nuovi contatti il vuoto che la Noi gli crea intorno. Infine Marable ricostruisce meticolosamente la dinamica dell’assassinio di Malcolm X ed evoca la sua fortuna postuma. Come Marable documenta, nella direzione dei suoi due nuovi gruppi Malcolm X commette gli errori tipici di un leader al quale è mancata l’esperienza politica del dibattito tra pari; ma tanto quanto l’opera di internazionalizzazione che egli conduce in un assolo drammatico lo rafforza nella convinzione che il separatismo finirebbe in un vicolo cieco, altrettanto è fermo nel principio che l’autodeterminazione degli africano-americani nei Paesi della schiavitù moderna non è negoziabile.
Nonostante i persistenti tentativi di liquidarne l’eredità , Malcolm X ci rammenta ancora che il riconoscimento dei diritti civili non ha corrisposto alle aspettative e alle lotte degli spossessati africano-americani, mentre ha favorito l’avanzamento di una nuova borghesia nera che si è inserita nelle pieghe degli strati abbienti – dopo che le campagne e le rivolte urbane del ventennio 1955-1974 le hanno tirato la volata. Quanto alla libertà  degli africano-americani, nel 2010 negli Usa il numero dei maschi africano-americani in prigione e in semilibertà  (più di 750mila) supera il numero degli schiavi maschi del decennio precedente la Guerra civile.
Si attende un curatore di un’edizione completa di tutti gli sparsi discorsi di Malcolm X per sollevare un’altra volta le questioni vitali che sono state variamente ovattate dopo la sua scomparsa.


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