by Editore | 3 Gennaio 2012 9:43
«Me l’hanno ucciso. Era malato ma invece di curarlo lo imbottivano di sedativi e lo legavano. Ora spero solo che si individuino presto i responsabili di questa assurda morte». Ne è sicura la signora Virginia, moglie di Gregorio Durante, detenuto di 34 anni morto in circostanze ancora di chiarire nell’ultimo giorno dell’anno nel reparto infermeria del carcere di Trani, in Puglia. Ieri la procura, che aveva subito aperto un fascicolo, avrebbe già recapitato i primi avvisi di garanzia per omicidio colposo. Secondo l’associazione Antigone, infatti, tra i diversi indagati ci sarebbero uomini del «personale sanitario in servizio nel penitenziario durante il periodo in cui è stato recluso l’uomo, il direttore dell’istituto e alcuni medici del reparto di Psichiatria dove Durante era stato ricoverato e poi dimesso». Il detenuto, secondo i suoi familiari, sarebbe anche stato posto in regime di isolamento perché accusato di aver simulato la malattia.
Ma il nuovo anno è cominciato anche con un’altra assurda morte, questa volta nell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto, in Sicilia, dove vivono 310 internati e lavorano 220 persone, tra agenti di polizia, operatori sanitari e amministrativi (al costo di 4,7 milioni di euro l’anno). Michele Veronese, calabrese di 53 anni, semi infermo di mente, alcolista, gravemente malato da tempo, costretto ormai a far ricorso periodicamente alle bombole d’ossigeno, è stato trovato cadavere nella sua cella alle prime ore dell’alba di ieri. Dal 2009 non era più considerato “socialmente pericoloso” ma per ben dieci volte consecutive si era visto prorogare la misura di sicurezza perché non aveva più una casa dove tornare. Lo denuncia Dario Stefano Dall’Aquila, dell’associazione Antigone, e lo conferma al manifesto lo stesso direttore dell’Opg, Nunziante Rosolia, che accusa: «È colpa dell’inefficienza dei servizi sociali e di una politica che non difende i più deboli. Così gli Opg, che vanno sicuramente superati, diventano la discarica della discarica, il posto dove si rinchiudono le persone malate difficili da gestire nel mondo esterno». Rosolia non aveva più una famiglia che lo accogliesse perché in carcere c’era finito appunto per un omicidio commesso tra le mura domestiche, reato da cui venne poi prosciolto per incapacità di intendere e volere. «Nel corso degli anni – racconta ancora Rosolia – abbiamo tentato di coinvolgere i servizi territoriali per trovargli un luogo adatto dove trascorrere quella che noi chiamiamo la “licenza finale di esperimento”, un periodo di transizione prima della liberazione. Le sue condizioni di salute non erano compatibili secondo noi con un regime di detenzione, ma purtroppo il suo non è un caso isolato». Infatti, racconta Rosolia, tra i 1400 internati dei sei Opg italiani, «di cui molti insufficienti mentali più che malati psichici, si registrano patologie fisiche gravi di vario tipo». Ed è proprio questo il punto: «Sono persone malate che per la maggior parte dei casi arrivano in carcere per reati modesti ma che essendo difficilmente gestibili in ambito socio-sanitario ordinario finiscono per essere internati negli Opg».
Strutture che lo stesso presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano aveva definito «una vergogna per un Paese appena civile». Li vorrebbe «superare» anche lo stesso direttore Rosolia, che ieri però ha chiesto una proroga alla Commissione d’inchiesta sul Ssn presieduta dal senatore Pd Ignazio Marino riguardo il termine ultimo per la ristrutturazione dei padiglioni sigillati la scorsa estate dopo un’ispezione. «Il problema però è a monte – conclude Rosolia -: il malato deve tornare al centro delle politiche di welfare che non può essere affrontato solo in maniera contabile».
Un nodo che viene al pettine anche nel caso della morte di Trani. La madre e la moglie di Gregorio Durante, assistite dall’avvocato Nicola Martini, da tempo avevano sollevato l’incompatibilità con il carcere del loro congiunto malato di encefalite virale. «Nei carceri di Lecce e Bari – accusa la signora Virginia – era ben curato ma da quando nell’aprile scorso era stato trasferito a Trani gli avevano tolto le medicine di cui aveva bisogno perché, ci spiegava il dirigente sanitario, l’Asl non le passava». Durante un colloquio, il 10 dicembre, i familiari assistirono ad un attacco epilettico di Gregorio che già da qualche settimana soffriva di crisi di questo tipo. «Scongiurai il dirigente sanitario di ricoverarlo in ospedale, cosa che chiese con urgenza anche il medico che lo curava dal 2003, il professor Specchio dell’ospedale di Foggia». Lettere, richieste, telefonate a nulla valsero. L’uomo venne ricoverato per qualche giorno in un reparto di Psichiatria ma venne dimesso «perché dissero che necessitava di cure neurologiche, non psichiatriche», continua la signora Virginia. «Il 24 dicembre, quando lo vidi per l’ultima volta, era su una sedia a rotelle, imbottito di sedativi, con gli occhi chiusi, magrissimo, e sul corpo aveva i segni di corde. Gli altri detenuti mi dissero che lo legavano per contenerlo. Mi riferirono anche che era stato tenuto in isolamento per tre giorni». Poi il trasferimento in infermeria, dove è morto l’ultimo giorno dell’anno. La verità è tutta da appurare. È il decesso numero 186 nelle celle italiane.
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