Ma più del diritto conta l’economia

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L’Europa è in vacanza e Viktor Orbà¡n ne approfitta. Ma a metà  gennaio, in occasione della prossima sessione del Parlamento europeo, il primo ministro ungherese potrebbe essere messo sotto accusa per la riforma costituzionale entrata in vigore il 1Ëš gennaio, che ha già  suscitato la forte protesta delle opposizioni a Budapest. I socialdemocratici, i Verdi e i liberali hanno intenzione di mettere in agenda al Parlamento europeo il problema rappresentato dalla deriva autoritaria del governo ungherese. Ma non sarà  facile: anche se alcuni governi conservatori, come la Francia, hanno già  espresso forti preoccupazioni per la deriva ungherese, il gruppo del Ppe, maggioritario a Strasburgo, recalcitra a intervenire, visto che Orbà¡n ne è il vice-presidente. Per il momento, tutti gli sguardi sono rivolti alla Commissione. Parigi afferma che «tocca alla Commissione europea verificare che i nuovi testi costituzionali rispettino ciò che costituisce il bene comune di tutti i paesi dell’Unione europea, cioè lo stato di diritto e il rispetto dei grandi valori democratici». La Commissione potrebbe applicare l’articolo 7 del trattato di Lisbona, che permette di punire un paese che trasgredisce le regole democratiche, privandolo del diritto di voto al Consiglio europeo. Purtroppo, c’è il precedente dell’Austria, che ha lasciato un gusto amaro: nel 2000, con l’entrata nel governo a Vienna dell’estrema destra di Jà¶rg Haider erano state evocate misure di isolamento e sanzioni politiche, ma poi la Ue aveva rinunciato ad agire, sulla base della constatazione dell’inefficacia dell’eventuale intervento. Nel 2001, quando Gianfranco Fini era diventato vice primo ministro, le reazioni erano state molto blande, malgrado il passato dell’uomo politico italiano. L’Ungheria oggi pone un problema ancora maggiore: sulla carta non c’è l’estrema destra (Jobbik) al governo. L’Europa però assiste a una deriva autoritaria di un governo pur nato da elezioni libere, che ora contravviene ai principi dell’Unione. I trattati non prevedono l’espulsione di uno stato membro. Lisbona prevede però un’uscita volontaria dalla Ue (e un ex ambasciatore Usa a Budapest, Mark Palmer, ha evocato questa ipotesi). Orban, che sfugge alle pressioni politiche, potrebbe essere però costretto a pagare care le sue scelte dal punto di vista economico. A dicembre, il presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso, ha scritto due lettere a Orbà¡n per metterlo in guardia soprattutto su due leggi incompatibili con l’appartenenza alla Ue: la perdita di indipendenza della Banca centrale ungherese e la flat tax sul reddito al 16%. Bce e Fmi avevano sospeso le discussioni con Budapest in vista di un prestito di 15-20 miliardi di euro, indispensabile per salvare l’Ungheria dalla bancarotta. Il debito ungherese è ormai giudicato «speculativo» dalle agenzie di rating Moody’s e S&P. L’Ungheria ha difficoltà  a trovare crediti sui mercati, che già  ora chiedono un tasso di interesse che supera il 10%: per questo, Orbà¡n è sospettato di aver messo sotto tutela la Banca centrale con lo scopo di pescare nelle sue riserve di cambio (valutate intorno ai 35 miliardi). Ma in questo periodo di crisi, l’indipendenza della Bce e delle banche centrali è diventato un punto non negoziabile, soprattutto per la Germania. Lasciare l’Ungheria contravvenire a un caposaldo del trattato di Maastricht costituirebbe un precedente inaccettabile per Berlino. Nel 2008-2009 l’Ungheria era stata salvata dalla bancarotta da un prestito Ue-Fmi di 20 miliardi. Sarà  piuttosto l’aspetto economico a mettere in difficoltà  Orban: un incontro a Washington del negoziatore ungherese con la direttrice dell’Fmi, Christine Lagarde, è previsto per l’11 gennaio. Meno dell’economia contano il non rispetto della carta dei diritti fondamentali, contenuta nel trattato di Lisbona in vigore dal 2009, che stabilisce valori comuni di democrazia, libera espressione, indipendenza della giustizia. C’è anche preoccupazione per le ripercussioni regionali delle scelte di Budapest, che danno dei diritti alle minoranze di origine ungherese presenti soprattutto in Slovacchia e in Romania


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