…ma è sempre crisi

Loading

C’è la crisi economica, che sta aggravando povertà  e disoccupazione nel paese, tra le sfide che l’Egitto deve affrontare mentre la «rivoluzione del 25 gennaio» compie il primo anno. Una sfida difficile che i Fratelli musulmani (Fm), vincitori delle elezioni politiche, non hanno ancora chiarito come intendono risolvere quando formeranno il loro governo. «Il programma del partito dei Fm (“Libertà  e Giustizia”), si limita a proporre una ricetta economica liberista, non molto diversa da quella che applicava il passato regime – spiega al manifesto Marwa Hussein, esperta di economia per il giornale al Ahram -. Non abbiamo appreso di soluzioni concrete per il rilancio di una economia depressa a causa della recessione mondiale e per le forti tensioni successive alla rivoluzione». 
D’altronde ben poco hanno fatto per contenere la crisi la giunta militare al potere e i governi che si sono succeduti dalla caduta del raìs Hosni Mubarak. I dati parlano chiaro. Il pil è cresciuto nel 2011 solo di un 1%. Gli investimenti dall’estero sono calati nettamente lo scorso anno (- 20%) ed erano già  scesi del 50% nel biennio 2009-10 rispetto a quello precedente quando avevano superato i 13 miliardi di dollari. I capitali continuano a fuggire dal paese. La Banca centrale ha comunicato con allarme che le riserve di valuta estera sono passate dai 36 miliardi di dollari del 2010 ai 22 dello scorso ottobre. E le possibilità  di invertire la tendenza sono limitate di fronte ad un drastico calo delle presenze turistiche che ha già  causato la perdita di decine di migliaia di posti di lavoro. In totale, secondo le statistiche ufficiali, sono 337mila gli egiziani che hanno perduto il lavoro nel 2011 e la disoccupazione ufficiale è salita all’11,9% dall’8,9% del 2010. «Anche gli investitori arabi chiudono le aziende e lasciano il paese, pertanto la disoccupazione è destinata ad aumentare. Serve subito un piano efficace per far uscire il paese da questa spirale», avverte Yumm al Hamaky, docente di economia all’università  Ain Shams. Il futuro governo inoltre sarà  costretto ad far ricorso ancora più che in passato al debito per finanziare gli aiuti ai più poveri in un paese dove già  64 degli 85 milioni di abitanti ricevono aiuti alimentari e un 20% della popolazione vive con meno due dollari al giorno (un’altro 20% supera di poco quella somma). E l’onnipresente agenzia di rating Standard & Poor’s ha già  provveduto, lo scorso autunno, a gettare negli abissi il debito sovrano egiziano.
«Ai futuri governanti non basterà  far ricorso alla solidarietà  e all’elemosina islamica per tamponare i problemi sul tavolo ed imprimere la svolta che richiede la situazione. Servono misure strategiche a lungo termine ed un politica economica profondamente diversa da quella attuata in questi ultimi anni», aggiunge Marwa Hussein. Le condizioni di vita di stanno deteriorando soprattutto nell’Alto Egitto dove il passato regime ha fatto poco o nulla nei decenni passati in termini di investimenti e di servizi. «E’ sufficiente andare in quelle zone per capire che tanti egiziani non sono in grado di assicurarsi almeno un pasto quotidiano», denuncia Ahmed Khorshid, un ex consulente del ministero dell’agricoltura. Potrebbero ripetersi gli assalti ai trasporti delle scorte alimentari, come quello compiuto il 5 novembre dagli abitanti di Badrashin (Giza) contro un treno merci che a bordo aveva diverse tonnellate di grano. Inutile è stato l’aumento, lo scorso luglio, del salario minimo da 422 pound egiziani (circa 45 dollari) a 708 pound (circa 85 euro). L’inflazione ha subito divorato il piccolo passo avanti e la chiusura di altre fabbriche ed aziende ha accresciuto di il numero dei disoccupati.
Le future autorità  dovranno perciò attendersi una nuova ondata di scioperi ed agitazioni da parte dei lavoratori, vittime principali della crisi, che ora possono contare sull’appoggio di sindacati veri ed indipendenti rispetto a quelli addomesticati che operavano sotto il passato regime. La rivoluzione ha messo a nudo le enormi diseguaglianze sociali provocate soprattutto dalle politiche neoliberiste imposte da Gamal Mubarak, figlio del raìs ed ex capo dell’ufficio politico del disciolto Partito nazional democratico. I vincitori delle elezioni legislative tuttavia non sembrano aver intenzione di trasformare la linea economica di questi ultimi anni. Durante la campagna elettorale i Fm e l’altro movimento islamico, i salafiti, hanno puntato molto sull’aiuto ai più poveri ma non hanno puntato l’indice contro il liberismo economico, anzi al contrario continuano a parlare di libero mercato. Ma gli egiziani non dimenticano le loro rivendicazioni e gli islamisti che ora dominano l’Assemblea del popolo potrebbero presto fare i conti con un nuova ondata di proteste di lavoratori in tutto il paese. La posta in gioco è la realizzazione di un Egitto più giusto.


Related Articles

Belhaj, ex-qaedista del Cnt, denuncia la Gran Bretagna

Loading

Il capo militare del Consiglio nazionale di transizione libico (Cnt), Abdel Hakim Belhaj (foto), ha intrapreso un’azione legale contro il governo britannico, accusandolo di complicità  nei maltrattamenti da lui subiti durante la detenzione, nel 2004.

Perché la Corea del Nord si è calmata

Loading

Perché la Corea del Nord si è calmata

Ci sono tante ragioni, ma le più importanti sono una nuova strategia degli Stati Uniti e il cambio di atteggiamento della Cina, meno indulgente di prima

Deficit, annullate le multe a Spagna e Portogallo

Loading

Bruxelles . La Commissione Ue concede flessibilità ma in cambio di “misure più efficaci”. Lisbona dovrà mettersi in riga entro quest’anno, Madrid ha tempo fino al 2018. Saranno aumentati i controlli

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment