L’ultimo colpo è per l’ex Nar

by Editore | 4 Gennaio 2012 9:50

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È bastato un giorno, e il conteggio degli agguati a Roma è ripartito. L’ultima vittima – rimasta gravemente ferita – è l’ex Nar Francesco Bianco, colpito da tre proiettili alle gambe e al braccio davanti alle terme di Tivoli, a pochi chilometri dalla capitale. Un chiaro avvertimento, arrivato dopo un breve inseguimento quando le strade erano ancora affollate, poco dopo le 20 di lunedì. «Non l’hanno voluto uccidere», spiegano gli investigatori, che stanno raccogliendo le tante testimonianze, ricollegando i fili della storia personale di Bianco. La vittima, in questi casi, è la chiave per capire moventi e mandanti, il punto di partenza per le indagini. E nel caso dell’ex esponente dei Nar si intrecciano tante possibili piste, che portano al sottobosco romano dell’estremismo nero, tradizionalmente legato alle organizzazioni criminali, fin dai tempi della banda della Magliana. L’esordio nelle cronache di Francesco Bianco, oggi cinquantenne, affonda negli anni lontani dell’organizzazione della destra eversiva dei Nar, nel 1978, quando partecipò ad una rapina nel negozio di armi Centofanti nella capitale. Poi nel duemila riapparve come responsabile romano di Forza nuova e, soprattutto, come amico fedele di Andrea Insabato, l’esponente di destra che portò l’ordigno davanti alla porta della redazione del manifesto , in via Tomacelli. Durante le indagini i rapporti tra i due furono attentamente analizzati e Bianco animò la conferenza stampa di Forza Nuova dopo l’attentato con un pugno in faccia al giornalista Guido Ruotolo. Ma un suo coinvolgimento nell’attentato non è mai stato dimostrato. Un tipo rissoso, lo descrivono oggi gli investigatori, che non escludono il movente del litigio non politico, anche se le indagini stanno prendendo in considerazione tutte le ipotesi. «Nessuna esclusa», spiegano i carabinieri, che ieri in serata stavano analizzando le immagini delle telecamere di sorveglianza della zona. Francesco Bianco era da poco ritornato all’Atac, l’azienda romana che gli aveva dato lavoro in piena epoca parentopoli, la stagione delle assunzioni facili di amici e affini nelle municipalizzate romane. Faceva parte di quel gruppo di fascisti entrati in massa nella macchina amministrativa del Campidoglio dopo l’elezione di Gianni Alemanno e non faceva nulla per nascondere la sua fede nera. Nel dicembre del 2010 era stato sospeso dalle sue funzioni quando i giornali avevano scoperto e denunciato gli attacchi antisemiti pubblicati sulla sua pagina facebook. Il provvedimento era arrivato, in realtà , per l’utilizzo dei computer aziendali e – almeno formalmente non per le sue parole minacciose scagliate contro il capo della comunità  ebraica Riccardo Pacifici e contro il movimento studentesco. «Annate a lavorà  e se non ce riuscite fateve raccomandà », scriveva rivolgendosi ai ragazzi che protestavano contro la riforma Gelmini sulla sua bacheca di facebook. L’agguato di lunedì sera ha l’apparenza di una nuova azione di quella criminalità  mafiosa che a Roma da mesi sta alzando il tiro, aprendo gli arsenali e rompendo la pace che aveva caratterizzato gli ultimi anni. Solo a dicembre le cronache hanno contato quattro feriti ed una vittima, tutti colpiti da arma da fuoco, spesso con modalità  simili all’agguato di Tivoli. L’ultimo episodio risale al 29 dicembre scorso, quando Carmelo Fichera, originario di Catania, è stato gambizzato in pieno centro, nel quartiere di San Lorenzo. Solo cinque giorni prima era stato colpito, a Tor Bella Monaca, Gioacchino Agliano, un cinquantenne con precedenti per spaccio di droga, rapina e ricettazione. Anche in quel caso ad agire furono due persone con il viso coperto da un casco integrale, e i colpi partiti da uno scooter. Stessa modalità  seguita dal gruppo di fuoco che ha ferito Francesco Bianco. È ormai nota e confermata da diverse indagini dell’antimafia la presenza pesante dei capitali di ‘ndrangheta, camorra e cosa nostra nell’economia della capitale. Non c’è solo il ricchissimo mercato della cocaina da spartirsi: ci sono i locali del centro, dove spesso si incontrano parti importanti della politica e dell’economia romana. Ci sono i bar di via Veneto, i ristoranti attorno ai palazzi del potere, i banconi dove deputati, senatori, palazzinari e banchieri sorseggiano il caffè. Avere il controllo di questi locali è la migliore conquista del territorio per le mafie tradizionalmente interessate a mantenere un piede saldo all’interno del raccordo anulare. Ci sono poi le bische clandestine delle periferie, i luoghi dello spaccio delle borgate e tutta la logistica dei traffici illegali. E, non ultimo, il cemento, l’enorme colata che ha avvolto la città  di Roma negli ultimi dieci anni, fatta di centri commerciali e torri residenziali. Nessuna pista, dunque, è esclusa. Anche l’arma usata, una 7,65, è definita comune, facilmente reperibile sul mercato clandestino, non in grado di identificare un gruppo o, almeno, un ambito. La stessa vita privata di Bianco è difficilmente analizzabile. Da poco più di un anno si era trasferito nella prima periferia di Guidonia, in una via anonima con case modeste. I vicini appena lo conoscevano, e, nella periferia estesa della capitale, l’anonimato è sempre di più una virtù. Nella zona tra Guidonia e Tivoli la presenza della destra estrema è tradizionalmente forte, tanto che lo scorso dicembre venne organizzato proprio qui il congresso di Forza Nuova. Un ambiente familiare ancora oggi per Bianco, pezzo storico della destra romana.

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