by Sergio Segio | 6 Gennaio 2012 9:38
I sindacati puntano i piedi: sul mercato del lavoro il governo Monti dovrà aprire una vera trattativa, la semplice consultazione non basta. La prima «botta» all’iniziale annuncio dell’esecutivo – che aveva previsto incontri separati con i leader e soltanto consultivi – è venuta dal faccia a faccia di due giorni fa tra la ministra del Welfare Elsa Fornero e la segretaria della Cgil Susanna Camusso. Quattro ore di confronto fitto, alla conclusione delle quali è stato confermato in via ufficiosa – attraverso fonti informali ministeriali e un’intervista alla Repubblica della stessa Camusso – che la trattativa si farà con i sindacati tutti insieme, anche se la settimana prossima Fornero incontrerà sempre in modalità separata prima Raffaele Bonanni, per la Cisl (lunedì) e poi Luigi Angeletti (martedì). Infine toccherà ovviamente anche agli industriali: il turno della presidente di Confindustria Emma Marcegaglia è fissato mercoledì. Per intavolare un percorso di negoziato che dovrebbe svolgersi in circa due mesi e chiudersi comunque entro maggio, quando Monti dovrà presentare a Bruxelles un piano definitivo per le riforme. Sul nodo meeting separati/tavolo comune, la leader Cgil ha dunque spiegato che «ora sappiamo che sarà un confronto ordinario». Lo stesso Bonanni ha ribadito poi, ieri pomeriggio a SkyTg24, che «se il governo non vorrà fare concertazione, se non vorrà trattare ma fare solo una consultazione, a noi non resterà che protestare». Tutti i sindacati vogliono un accordo – la Cgil è quanto mai aperta al dialogo – e il governo ha bisogno di una firma di tutti. Ma c’è un ma. L’articolo 18. Per Mario Monti tutto deve andare a concludersi lì, in una sua modifica: il premier lo vede come una sorta di dovere rispetto alle ripetute raccomandazioni di Ue e Bce. E però su questo nodo «caldissimo» non c’è altrettanta armonia come sul punto delle modalità dei prossimi incontri: il ministero del Lavoro continua a puntare sulla proposta Ichino, che si basa sullo scardinamento di quella tutela per i nuovi assunti (o perlomeno negli effetti post-licenziamento: non si avrà più diritto al reintegro, ma solo a un indennizzo monetario; sarà possibile licenziare per motivi economici e tecnico-organizzativi, mentre il reintegro resterà solo per quelli discriminatori). E la ministra Fornero, per incassare il sì della Cgil a rimanere al tavolo, ha accettato di posticipare il nodo articolo 18 alla fine della discussione. «Non c’è una sola ragione convincente perché si parta da lì», confermava ieri Camusso. Ma subito dopo la leader della Cgil ha però affermato: «Il governo deve sapere che sull’articolo 18 noi non trattiamo». Perché «ha una funzione deterrente per i licenziamenti senza giusta causa: per questo non può essere nè aggirata nè modificata». Subito dopo, Camusso ha anche rinviato al mittente il contratto unico di Ichino, bollandolo come contenitore di «una massiccia propaganda». Come dire: da un lato Fornero (e Monti) non rinuncia a tenere ancora sul tavolo il tema, sfoderandolo solo alla fine e sperando che magari i riottosi interlocutori verranno persuasi dalle possibili novità sui contratti (la Cgil vorrebbe si sfoltissero decisamente le attuali 46 forme varie di rapporti precari, per ridurle a 5) e da una buona iniezione di ammortizzatori (ma chissà dove reperire le risorse: perseguitando pesantemente gli evasori con le super car a Cortina e non solo? potrebbe essere un’idea). Dall’altro, la Cgil chiarisce sin da ora che su quel fronte non cederà . Il tempo dirà . Sull’articolo 18, comunque, è tornato ieri anche Raffaele Bonanni: «Basta andare appresso agli asini che volano, affrontiamo i problemi veri – ha detto il leader Cisl – Non è l’articolo 18 a frenare gli investimenti in Italia, dove non si investe da diverso tempo, l’economia ristagna, non c’è movimento. Si strumentalizza un fatto ideologico, mentre andrebbe affrontato il problema di infrastrutture e servizi tra i più sgangherati d’Europa». Intanto la Confindustria, subito prima di incontrare Fornero, terrà mercoledì prossimo il suo direttivo: si parlerà delle riforme che gli imprenditori chiedono al governo, a partire dalle liberalizzazioni, ma sul tavolo ci sarà anche il mercato del lavoro, ad ampio raggio: dalle «flessibilità in entrata», come la legge 30 e una sua più efficace applicazione, fino all’articolo 18, che Marcegaglia (per non ripetere lo scorsno subito da uno dei suoi predecessori, Antonio D’Amato a opera della Cgil di Cofferati) non si intesta come battaglia principe, ma che comunque – seppure più copertamente – segue con grande attenzione: «Non ci devono essere tabù», continua a ribadire. Anche la Cgil riunirà la settimana prossima il suo direttivo, con la possibilità che riprenda il conflitto con la Fiom: in particolare sulla Fiat, che la confederazione tenta da tempo di definire pubblicamente come una «sconfitta dei metalmeccanici» guidati da Maurizio Landini, in modo da prenderne le distanze e rafforzare le proprie posizioni all’interno e all’esterno.
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