L'”Italia del fare” secondo Marchionne nello spot del Lingotto sulla nuova Panda

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L’idea è semplice: c’è un mondo diviso in buoni e cattivi in cui è necessario schierarsi. I buoni cercano di difendere tutto quel che di più caro ciascuno possiede: la famiglia, gli amici, i figli, la casa. I cattivi, indifferenti agli affetti che ciascuno ha eletto a suo riferimento, menano fendenti su quel presepe. 
Lo spot per il lancio della nuova Panda ripercorre lo schema e lo adatta alla realtà  dell’Italia post berlusconiana, quella che condanna Schettino e applaude De Falco, quella che, disorientata, ha un gran bisogno di tirare una riga sulla lavagna e dividere il mondo in buoni e cattivi. Non è la prima volta che la Fiat di Marchionne utilizza una campagna pubblicitaria per dire la sua su quel che accade in Italia. E’, a suo modo, un segno di interesse che dovrebbe smentire i molti profeti della fuga di Marchionne.
Il primo spot è del 2007. Pensato per il lancio della nuova 500, aveva due obiettivi: celebrare la rinascita della Fiat uscita dalla crisi e cambiare radicalmente l’immagine autoritaria dell’azienda. La Fiat era rinata grazie al lavoro di tutti, era diventata meno gerarchica, più capace a motivare le persone, ed era per questo tornata ad essere l’immagine del paese. Da qui il claim: “La nuova Fiat è di tutti noi”. Compare anche una fotografia in bianco e nero con un corteo sindacale e nel fotogramma si scorge addirittura una bandiera della Fiom. 
Il secondo spot è del 2010 e celebra un’altra rinascita, quella della Chrysler e di Detroit. Anche qui i cattivi non sono riusciti a prevalere, garantisce Eminem al Superbowl. Con queste premesse, non era difficile indovinare quale sarebbe stato il messaggio della Fiat in occasione del lancio della Panda, l’auto prodotta a Pomigliano. In questo caso i buoni sono quelli che hanno «la voglia di costruire una cosa ben fatta» perché «le cose che costruiamo ci rendono ciò che siamo». Ciascuno deve scegliere, «decidere se essere noi stessi» (e qui scorrono le immagini delle operose maestranze di Pomigliano) «o accontentarci dell’immagine che ci vogliono dare» (zoomata su un piatto di maccheroni al pomodoro). C’è da riflettere sul fatto che nessun americano avrebbe accettato di veder finire una bella bistecca con le patate nella lista dei cattivi. In questo caso i nemici da sconfiggere sarebbero coloro che dall’esterno giudicano l’Italia secondo vecchi cliché superficiali. Si capisce dallo spot che l’Italia della Fiat è l’Italia del fare. Quella parte, va detto, che è davvero l’unica a rappresentare una speranza di futuro. Un’Italia che guarda avanti, che abbandona davvero tutti gli schemi del Novecento, compreso quello per cui chi possiede i grandi mezzi di comunicazione per definizione ha sempre ragione. Rispetto allo spot-manifesto del 2007 in quello del 2012 sono spariti i fotogrammi dei cortei sindacali: trattandosi di celebrare l’auto prodotta a Pomigliano, l’epicentro dello scontro tra il Lingotto e il principale sindacato delle sue fabbriche, era meglio non toccare la questione. Ed è un peccato. Perché quella omissione, quella del ruolo di tutti i sindacati nella rinascita di Pomigliano, è il sintomo di una debolezza nel discorso. Certamente lo scontro in corso è aspro, ma se si vuole spiegare all’Italia come deve comportarsi, non si possono nascondere le magagne in casa propria. Perché altrimenti si dà  l’impressione che la nuova Fiat non sia di tutti noi ma solo di alcuni. Magari i buoni, ma non tutti. E altri, forse cattivi, rischiano la fine dei monaci tibetani rinchiusi nel loro monastero nello spot della Delta con Richard Gere. Landini vestito di porpora? E’ un fatto che nella nuova Pomigliano dello spot, nessun dei 1.000 dipendenti è iscritto alla Fiom.


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