«Pensioni e giovani, rivedere gli ammortizzatori sociali»
ROMA — Da ieri è partita una riforma delle pensioni senza precedenti. Ma non ci avevate spiegato che il sistema era in sicurezza e che stavamo meglio degli altri? Non era vero. «Nessuno di noi — risponde il presidente dell’Inps, Antonio Mastrapasqua — immaginava che nel 2011 avremmo fatto 4-5 manovre né quello che si è scatenato sui mercati finanziari internazionali. Non dobbiamo poi dimenticare che da molti anni l’economia italiana non cresce abbastanza e questo, alla lunga, mina i conti della previdenza perché si hanno meno occupati e meno entrate contributive di quanto sarebbe auspicabile». Da ieri sono sparite le pensioni di anzianità : non bastano più 35 anni di contributi, ma ce ne vogliono 42, che saliranno fino a 45 nel 2050. Imprese, lavoratori, il sistema Italia è pronto a una rivoluzione del genere? «Intanto la novità si farà sentire nel 2013, perché quest’anno andranno in pensione coloro che hanno maturato i requisiti nel 2011 e dunque con le vecchie regole. Per il resto, come ha detto lo stesso ministro del Lavoro, Elsa Fornero, alla riforma delle pensioni non può che seguire a stretto giro di posta la riforma del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali. Mi pare che il governo sia già al lavoro su questi temi». Che cosa bisognerebbe fare? «In un sistema che prevede da un lato l’allungamento dell’età pensionabile e dall’altro il metodo di calcolo contributivo bisogna far sì che i lavoratori abbiano carriere contributive piene, soprattutto per i giovani». Molti si chiedono se i giovani non avranno meno occasioni di lavoro adesso che si ridurranno i flussi di pensionamento. «Vari studi, in particolare sui Paesi del Nord-Europa, mostrano che a un aumento dell’età pensionabile non corrisponde una diminuzione del lavoro per i giovani. Anzi si crea un circolo virtuoso, con i lavoratori più anziani che diventano tutor di coloro che entrano in azienda. Sono Paesi con un più alto tasso di occupazione, che sostiene la crescita dell’economia e delle occasioni di lavoro. Dobbiamo andare in questa direzione». Parliamo di un paio di problemi sorti con la riforma. Il primo riguarda i dipendenti pubblici e i lavoratori autonomi. Perché per loro non vale l’attenuazione dello scalone che è stato deciso per i lavoratori precoci del privato, cioè la possibilità di andare in pensione a 64 anni se si raggiunge quota 96 nel 2012? «Andrebbe chiesto al Parlamento, perché la norma è nata ed è stata votata lì. Credo che su questo lo stesso Parlamento, se lo riterrà opportuno, potrà intervenire». Il secondo problema riguarda i lavoratori che si sono dimessi o sono stati licenziati fuori da accordi sindacali e che ora rischiano di restare senza stipendio e senza pensione per anni. I sindacati parlano di decine di migliaia di casi. E’ esatto? «Il numero ancora non lo conosciamo, ma abbiamo avviato un monitoraggio per avere le dimensioni del problema. Il presidente del Consiglio, Mario Monti, ha assicurato che il governo vuole occuparsi di queste persone». A proposito di persone: veniamo agli ammortizzatori sociali. Da tre anni la cassa integrazione è su livelli record, con circa un miliardo di ore autorizzate all’anno. Come andrà il 2012? «Nel 2011 c’è stata una flessione del 20% delle ore autorizzate, mentre quelle effettivamente utilizzate sono il 46%. C’è una lenta inversione di tendenza che penso sarà confermata nel 2012». I sindacati sostengono che in molte aziende scadrà la cassa integrazione e si rischia la disoccupazione di massa. «Qualsiasi allarme in questo campo va valutato con attenzione. Posso dire che per il 2012 intanto ci sono gli stanziamenti per gli ammortizzatori e che in caso di scadenza della cassa ordinaria e straordinaria può intervenire la cassa in deroga a prorogare i sussidi». Cambiano le pensioni e cambia l’Inps, nel senso che diventa SuperInps, inglobando Inpdap (l’ente dei dipendenti pubblici) ed Enpals (sport e spettacolo). Perché questa fusione? «Il percorso era già stato avviato con la manovra estiva del precedente governo. Il decreto Monti la rende operativa. Dal primo gennaio 2012 Inpdap ed Enpals sono soppressi. L’obiettivo principale è razionalizzare e riorganizzare gli enti di previdenza per fornire un servizio migliore agli utenti. Dovremo mettere insieme dai sistemi informatici alle sedi periferiche per arrivare a una “casa del welfare” diffusa sul territorio dove lavoratori, pensionati e aziende possano trovare tutti i servizi». Ma come farà se i vertici, i dirigenti e dipendenti degli enti soppressi non l’hanno assolutamente presa bene? «Le leggi sono fatte per essere eseguite. Sono certo che ci sarà la massima collaborazione. Sicuramente la volontà del presidente dell’Inps, che ora è presidente di un ente nuovo figlio della fusione con Inpdap ed Enpals, è di adempiere al mandato ricevuto dal governo e dal Parlamento e di portare a compimento questa che è la più grande operazione di integrazione tra enti pubblici mai fatta in Italia. Terrò conto di tutte le voci, ma nessuno pensi che questa operazione si possa fermare davanti a ostacoli burocratici o freni e paletti vari. Il Paese non si può più permettere di decidere una cosa e poi non farla. Si farà una fusione vera e non un’operazione gattopardesca: il cittadino non ce lo perdonerebbe». Come fa a procedere alla fusione se la legge dice che i presidenti e i Civ (consigli di indirizzo e vigilanza) di Inpdap ed Enpals restano in carica fino a quando i ministeri non emaneranno i cosiddetti decreti regolamentari? «Gli organi, dice la legge, avranno competenza sui bilanci 2011 da presentare entro marzo. Gli ultimi separati, perché il bilancio 2012 sarà un bilancio unico. Passato marzo sono sicuro che i ministeri vigilanti faranno i decreti che determineranno la decadenza degli organi dei vecchi enti. Fino al quel momento sono sicuro che ci sarà una leale collaborazione con loro». Quanto si risparmierà col SuperInps? «Venti milioni il primo anno, 50 il secondo e 100 dal terzo in poi. Risparmi che si sommano a quelli già raggiunti negli ultimi anni con le sinergie avviate dai tre enti». Quanti dipendenti avrà e quanti lavoratori in esubero ci saranno in seguito alla fusione? «L’Inps ha 27.640 dipendenti, l’Inpdap 7.093, l’Enpals 355. In tutto avremo 35 mila dipendenti. I lavoratori iscritti saranno più di 23 milioni, le prestazioni più di 21 milioni, e tra entrate e uscite movimenteremo oltre 700 miliardi di euro all’anno. Non ci sono esuberi, perché gli enti hanno meno dipendenti di quanti previsti dalle piante organiche. Anche i 700 ex portieri dell’Inpdap di cui si è parlato recentemente sono stati ricollocati in altri lavori e non dovrebbero essere considerati esuberi». Possibile che si mettano insieme tre enti che fanno le stesse cose e non ci siano duplicazioni dei posti di lavoro? «Consideri che solo dall’Inps escono ogni anno per andare in pensione 1.200-1.300 dipendenti. E già da anni abbiamo una forte carenza di personale. Con la fusione potremo utilizzare al meglio i dipendenti di tutti e tre gli enti. A questo proposito voglio lanciare un messaggio chiaro a tutto il personale: io non immagino il SuperInps, ma un nuovo Inps. Nessuno pensi, anche nel mio istituto, che ci sia qualcuno che ingloba qualcun altro. Non ci sono annessioni. Ci sarà un unico ente, dove tutti i dipendenti saranno considerati alla pari e misurati sul merito, sulle capacità e le risposte che daranno ai cittadini, non sulla base dell’ente di provenienza». Nel decreto non c’è solo il SuperInps ma anche la proroga del suo mandato per altri due anni e mezzo, fino alla fine del 2014. Sarà a capo di questo megaente mantenendo anche i 24 incarichi che ha in società pubbliche e private? Non crede ci possano essere conflitti d’interesse? «Non ci sono conflitti d’interesse né dal punto di vista delle norme né dal punto di vista sostanziale». Enrico Marro
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Ferruccio de Bortoli in un suo editoriale sul Corriere della Sera di sabato ritiene che il rischio che le imprese usino la riforma dell’art. 18 per liberarsi anche dei lavoratori scomodi (come ho sostenuto sul manifesto) oltre che di quelli anziani o logorati dal lavoro (come ipotizzato lo stesso giorno dal prof. Mariucci su l’Unità ) rispecchi «una visione novecentesca, ideologica e da lotta di classe che non corrisponde più alla realtà della stragrande maggioranza dei luoghi di lavoro».