by Editore | 23 Gennaio 2012 8:48
WASHINGTON — Michael Walzer attribuisce l’inatteso successo di Newt Gingrich a due fattori. La sua abilità nel proporsi come l’uomo forte dei conservatori, di reagire alle critiche quasi con ferocia, di appellarsi alle loro viscere. E la formazione all’interno del partito di uno zoccolo duro anti establishment, anti Washington, deciso ad assumerne il controllo. I repubblicani, rileva il grande filosofo politico, hanno sempre avuto due anime, una moderata, l’altra radicale. Storicamente la prima ha dominato più spesso le elezioni. Ma Gingrich, con il suo massimalismo e la sua arroganza, ha mobilitato una vasta base. Dice l’autore di Guerre giuste e ingiuste: «Non so se l’ala restauratrice prevarrà su quella centrista, ma l’ex speaker della Camera è l’unico capace di farle vincere questa battaglia».
Non l’ha sorpresa il fatto che i problemi matrimoniali di Gingrich non lo abbiano scalfito?
«No, perché ha saputo presentarsi come un pentito, e il pentimento è una cosa che commuove i credenti americani. Perché li ha convinti che gli attacchi degli avversari sono calunniosi e politicamente motivati. Perché non ha corteggiato nessuno: solo contro tutti è un’immagine che piace. E perché ha evocato quello che io considero il peggio dei conservatori ultras, il razzismo latente e l’incuranza, se non il disprezzo, dei poveri. Si sono istintivamente identificati in lui».
Lei parla di un partito dentro il partito….
«Esattamente. È la coalizione del Tea party, degli evangelici, dei cultori dei cosiddetti valori, dei seguaci della National rifle association, fautrice della libertà di armarsi, e via di seguito. A livello locale è una coalizione bene organizzata, come si è visto alle elezioni congressuali del 2010, quando ha spostato il partito a destra e ha inferto ai democratici una delle sconfitte più clamorose della loro storia. Adesso si sta organizzando anche a livello nazionale».
Può quantificarla?
«Alle primarie chiuse, dove possono votare solo i repubblicani, penso che superi il 50%, qualche volta arrivi al 60% nel profondo sud o nell’America del Texas perché è la più impegnata e combattiva. A queste primarie, un candidato moderato come Mitt Romney non raccoglie più del 25-30% dei voti. La percentuale di questa coalizione è inferiore alle primarie aperte, dove possono votare anche gli indipendenti, specialmente nel nord est. Una diversità su cui contano i leader del partito per fermare Gingrich».
Non ritiene strano che dalla crisi più grave dalla Grande depressione sia emerso un movimento radicale di destra anziché di sinistra?
«No, per due motivi. Molti americani sono spaventati dal futuro, e si rifugiano nel passato. Sognano la superpotenza, il capitalismo, la fine dello statalismo. E molti americani sono delusi della presidenza Obama. A differenza di Roosevelt, che negli Anni ’30 fece perno sui contadini e sugli operai e si impose al Congresso, Obama ha cercato il consenso dell’opposizione. La nascita di Occupy Wall Street lo ha persuaso a cambiare strada. MaOccupy Wall Street non si è ancora rivelato una forza politica determinante, si è affievolito».
Prevarrà Gingrich o prevarrà Romney?
«È troppo presto per dirlo. Le primarie della Florida tra dieci giorni ci daranno qualche indicazione. A mio giudizio, l’establishment del partito ha una certa paura dell’ex speaker della Camera, perché non fu molto responsabile nel ricoprire quella carica, e perché pensa che perderebbe contro Obama. Ma non bisogna sottovalutare Gingrich né il populismo che oggi scuote l’America. E Romney ha commesso un grosso errore rifiutando di rendere pubblica l’enorme entità del suo patrimonio e le tasse che paga».
Che cosa fa di Gingrich un candidato credibile?
«Precisiamo: credibile per i conservatori. Oltre a quello che le ho detto, la sua esperienza, la sua supremazia nei dibattiti rispetto ad altri candidati che intellettualmente non sono suoi pari. Ma non è credibile per una parte dei moderati e una grande parte degli indipendenti. Per costoro, Romney è l’unico papabile alla Casa Bianca. Romney tuttavia potrà riprendersi, soprattutto se Santorum e Paul, gli altri candidati conservatori rimasti in gara, sottrarranno voti a Gingrich».
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