L’irresistibile carica dei Fratelli musulmani

by Editore | 18 Gennaio 2012 9:19

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IL CAIRO  – «Libertà  e giustizia» stravince le parlamentari in Egitto con il 48% dei voti e 230 seggi su 508. Poco importa se gli islamisti moderati abbiano raggiunto per ultimi e lasciato per primi le rivolte. Logorati da anni di opposizione, per vincere hanno sfruttato l’integrazione nel vecchio regime. Nel 2005, i Fratelli musulmani contavano già  su 88 deputati. E’ iniziato tutto dal sindacato dei medici di via Qasr al-Aini 42, dove i leader della Fratellanza tenevano le loro riunioni. Ora, alle sedi originali della confraternita, piccole stanze in casa di simpatizzanti, si aggiungono grandi sedi di partito, librerie e sale conferenze.
Ma la leadership è ancora da rodare. Tra i conservatori, un nome su tutti: Kayrat Shater. Scarcerato dopo le dimissioni di Mubarak, si occupa dell’ufficio economico e di gestire i contatti con Hamas. Insieme a lui, Saad al-Katatny, possibile nuovo presidente della Camera, con due vice: un liberale del Wafd e un salafita. Se scotta ancora la sconfitta dei businessmen islamisti del Wasat (centro), che avrebbero ottenuto solo 11 seggi, per nuove allenze «Libertà  e giustizia» guarda ai liberali. Sembra fuori discussione un accordo con Kutla, coalizione di cui fa parte l’ex imprenditore di Orascom, Naguib Sawiris. Il «blocco» ha polarizzato il voto dei cristiani, ottenendo solo l’8% – 45 seggi, inclusi i deputati di Tamnia o Islah (Sviluppo e riforma), vicino a el-Baradei. Tanto che l’ex direttore dell’Aiea, per i deludenti risultati e contro l’abuso di potere dei militari, ha annunciato il ritiro della sua candidatura alle presidenziali. Anche se «Libertà  e giustizia» ha i numeri per un esecutivo monocolore, andrebbe verso un accordo di governo con i liberali del Wafd. Altro partito della nomenclatura del vecchio regime, già  alleato con la Fratellanza nel 1984, il Wafd esce dalle elezioni come maggior forza laica in Egitto, con il 10% dei voti. 
Ma «Libertà  e giustizia» non è un monolite. Molti giovani del movimento guardano a sinistra. Sono nelle liste di «Tyar» (corrente), parte della coalizione «Rivoluzione continua», insieme a socialisti e comunisti. «”Libertà  e giustizia” non vuole sentir parlare di sinistra ma il suo discorso politico persegue i diritti sociali» – dichiara al manifesto Ahmed Samir, esponente della Fratellanza. Questi attivisti sostengono la candidatura alle presidenziali del medico riformista Aboul Fotuh. Politico carismatico, è l’unico tra gli islamisti ad aver commentato i risultati elettorali sottolineando «come la rivoluzione non sia ancora compiuta». E così, il divario tra islamisti radicali e «Libertà  e giustizia» si accentua su temi chiave. «I salafiti hanno un’idea stantia di politica, tra barbe e nikab vorrebbero imporre dei costumi superati. Per noi non è questo l’Islam, ad esempio in “Libertà  e giustizia” c’è un’ampia partecipazione femminile», spiega. I salafiti de el-Nour (Luce), secondo partito in Egitto, con il 23% dei voti e 121 seggi, sono la vera incognita di questo parlamento. Non solo barbuti, i salafiti sono ingegneri e insegnanti. Gli islamisti radicali vengono finanziati da immigrati egiziani in Arabia saudita e nel Golfo. «Abbiamo organizzato la campagna elettorale con donazioni private – ci racconta Ahmed Salah, politico salafita nel quartiere di Ayn Shamps -. Fino a qualche mese fa, non potevamo accettare nemmeno una lira dall’estero». 
Per limitare i gruppi legati alla jihad islamica, il regime di Mubarak ha fatto leva sulla legge di emergenza, tracciando i finanziamenti agli islamisti. «Per questo, fare politica ha significato aspettare il momento per essere uccisi o arrestati», aggiunge Salah. Hanno votato per el-Nour i poveri e parte della classe media. Se agiscono sulla stessa base sociale degli islamisti moderati, hanno grande seguito per le loro idee conformi al Corano. Inoltre, i salafiti egiziani controllano un imponente sistema mediatico: vari quotidiani e almeno sei canali televisivi, come el-Nas (popolo). I politici salafiti sono invece inesperti ed ambigui. Resta aperto nel partito il dibattito sui diritti delle donne, di copti e sufi, la legislazione sugli alcolici e la formazione di una polizia religiosa. Non ci sono solo ombre. Sono nel movimento anche figure liberali che aprono le porte ad un’interpretazione razionale della legge islamica come gli sheik Husama el-Qussy e Ibrahim Naged. Infine la sinistra, frammentata e in parte per il boicottaggio del voto, e il partito «el-Adl» (Giustizia) hanno ottenuto solo alcune decine di deputati nelle roccaforti di Shubra, Mansoura e Mahalla. Mentre, gli ex del partito di Mubarak, eletti tra gli individuali, hanno avuto solo una manciata di seggi e sosterranno l’ex premier Ahmed Shafiq come candidato alle presidenziali. «Perchè ci siamo fatti ammazzare?», si chiedono a questo punto gli attivisti dei movimenti di resistenza extraparlamentare, «6 Aprile» e «Kifaya!», che torneranno in piazza il 25 gennaio contro i militari. L’esercito ha forgiato la legge elettorale per favorire movimenti già  radicati sul territorio. Non ha impedito la nascita di partiti su base religiosa. Ha infine svuotato il parlamento di legittimità , puntando su un Consiglio militare permanente. Con la riattivazione del discorso salafita e l’esercito al potere, gli attivisti temono che la rivoluzione si trasformi in un colpo di stato militare sul modello del movimento Urabi del 1882. Per la piazza, sia il regime di Mubarak che il potente esercito sono eredi dei mandati coloniali. I militari usano gli stessi mezzi coercitivi del vecchio regime e il controllo dello stato sulla società  si riproduce automaticamente.

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