Libia, colpo di coda dei fedeli a Gheddafi Occupata una città 

by Editore | 24 Gennaio 2012 8:13

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Fiammate di guerra civile in Libia. A Bani Walid, 170 chilometri a sud-ovest di Tripoli, torna addirittura a sventolare la bandiera verde di Gheddafi. Ieri un consistente gruppo di nostalgici, equipaggiato con razzi e mitraglie pesanti, ha preso il controllo della cittadina che rimase fino all’ultimo schierata con il Colonnello. La notizia è stata confermata dal portavoce del Consiglio locale della città , Mahmud el Werfelli. Negli scontri sono morti quattro miliziani del Cnt (Consiglio nazionale di transizione, l’organismo che governa la nuova Libia) e altri venti sono stati feriti. Ulteriori dettagli sono stati diffusi in Rete dai siti ancora fedeli alla Jamahiriya. Secondo queste ricostruzioni tutto sarebbe cominciato quando gli uomini della Brigata 28 maggio, alle dirette dipendenze del Cnt di Tripoli, avrebbero arrestato alcuni seguaci del passato regime, originari di Bani Walid e appartenenti alla tribù dei Warfalla. Nel giro di poche ore il clan avrebbe tirato fuori le armi e attaccato con violenza il reparto degli ex ribelli. Sta di fatto che ora nel territorio libico si è creata una zona franca fuori dal controllo dell’autorità  centrale. Bani Walid è stata una delle ultime difese gheddafiane a cadere: evidentemente non è mai stata davvero pacificata. 
Ma l’intero Paese è scosso da tensioni inquietanti. L’epicentro è Bengasi, la capitale della Cirenaica, la prima grande città  a ribellarsi al Raìs e ora sempre più insofferente rispetto agli equilibri che si stanno formando al vertice. Giovedì 19 gennaio almeno un migliaio di persone aveva attaccato la sede locale del Cnt, lanciando rudimentali bombe a mano. E poco prima gli studenti avevano contestato Abdel Hafiz Ghoga, vicepresidente nazionale del Consiglio nazionale di transizione, in visita nell’università  cittadina. Le ragioni della protesta? Troppi «opportunisti», troppi «arnesi del vecchio regime» si sarebbero agevolmente riciclati nel Cnt. Ieri Ghoga ha offerto le dimissioni, «nell’interesse della nazione». Dopo aver rischiato di essere malmenato a Bengasi, il numero due dell’autorità  di governo ha commentato con inevitabile amarezza: «Le mie dimissioni in questo momento sono necessarie. Non c’è più il consenso necessario agli interessi nazionali e prevale un’atmosfera di incertezza e di odio. Non voglio che lo scontro sulla mia persona continui e danneggi il Cnt e la sua operatività ». Il «caso Ghoga» ha spinto anche il leader del Consiglio, Mustafa Abdel Jalil a farsi vedere a Bengasi, dove ha «invitato» il sindaco a lasciare, avvertendo tutti i cittadini, non solo quelli della Cirenaica: «Noi non ce ne andiamo. Se lo facessimo la Libia sprofonderebbe in un vicolo cieco, nella guerra civile». Tra i segni di difficoltà  dei nuovi assetti, ci sono le dimissioni dell’ambasciatore libico in Italia, Hafed Gaddur, in carica dai tempi di Gheddafi ma che si era schierato con gli oppositori.
Da Tripoli arrivano informazioni contrastanti. Ieri sera la tv satellitare «Al Arabiya» riferiva la notizia «di un’intensa sparatoria in un quartiere della capitale». Ma le testimonianze raccolte al telefono riportano una situazione di normalità , con tutti i negozi aperti, la benzina disponibile nei distributori, molta gente in giro e il solito traffico infernale delle metropoli nordafricane. È vero, però, che la sera ci sono, in alcuni quartieri, scontri e sparatorie tra gruppuscoli non ancora identificati e miliziani del Cnt.
La transizione, dunque, si sta rivelando un percorso pieno di insidie e ancora segnato dalla violenza. Il regime provvisorio appare paralizzato da rivalità  territoriali, prima ancora che personali. Si procede pericolosamente a vista, rimettendo in discussione anche ciò che sembrava acquisito. A cominciare dalla legge elettorale, che sarà  riesaminata e che forse perderà  l’articolo fondamentale che riservava alla donne una quota di candidature pari al 10%.

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