«Io, il Cavaliere e il legame con Bossi»
«Lo scorso novembre ha segnato un tornante nella vita del Paese. Per cominciare, un tornante politico. Secondo Flaiano esistevano due tipi di fascismo: il fascismo propriamente detto e l’antifascismo. Abbiamo avuto due tipi di berlusconismo: il berlusconismo propriamente detto e l’antiberlusconismo. Ora finisce la proiezione antropomorfa e per certi versi fanatica o finta della vecchia dividente ideologica: comunismo e anticomunismo, bene e male, giusto e ingiusto, bianco e nero. Si attiverà un processo di disgregazione-riaggregazione creatrice. Un processo generato dalla severità della crisi che selezionerà specie politiche diverse per serietà , competenza, internazionalità . Conteranno meno l’hardware e le strutture tradizionali della politica italiana e sempre di più il software, le idee».
Professor Tremonti, la crisi ha spazzato via il vostro governo. Ma la crisi è ancora governabile, secondo lei?
«L’impressione è che la mutazione del processo politico sia anticipata, ma in modo non del tutto convinto e convincente, da come si muovono i partiti in questi giorni di crisi. C’è una fortissima asimmetria: la “cifra” della crisi è altissima; la politica è scesa al livello di cosa a bassa frequenza».
Nel senso di frequenze tv?
«Nel senso che si frequentano. Si vedono, magari di nascosto; ma non c’è la presenza dei grandi partiti».
La presenza della Lega si nota anche troppo. Non trova fuori luogo gli schiamazzi di gente che sino a un mese e mezzo fa era al governo?
«La Lega fa opposizione. Lasciando da parte le questioni di stile, trovo giusto che in un Parlamento democratico ci siano maggioranza e opposizione. Non sarebbe salutare per la democrazia un consenso del 100%».
Che cosa pensa di questo governo? Di Monti, di Grilli?
«Ho votato la fiducia al governo e ho grande considerazione per la competenza tanto di Monti quanto di Grilli. Le dirò quello che ho detto loro: fermo il rigore di bilancio, in base alla loro competenza il governo poteva “salvare l’Italia” con due mosse, su due piazze. Due mosse: crescita, credibilità . Due piazze: Europa, mercato finanziario. La crescita sta virando in recessione anche per effetto del decreto “salva Italia”, troppo fiscale e regressivo; la credibilità si vede ma solo in Europa, non sul mercato finanziario, infatti lo spread è a quota 500. L’Europa è una piazza necessaria, ma non è sufficiente. L’Europa “suggerisce” molto, ma può poco. Il mercato finanziario suggerisce uguale, ma può tutto».
Lei è davvero convinto che ci attenda un’altra manovra?
«L’ultima manovra è stata chiesta dalla Commissione europea perche la minore crescita economica rendeva incerto il pareggio di bilancio nel 2013. L’ultima manovra, troppo sbilanciata dal lato delle tasse, lo rende ancora più incerto. Io non farei un’altra manovra, ma non è escluso che venga nuovamente “suggerita”. Credo comunque che il rischio più grave per l’Italia non sia quello di dover fare un’altra manovra, ma di dover fare una domanda di assistenza al Fondo monetario internazionale. Come suggeriscono tanto ambienti finanziari quanto ambienti europei. Come fa intendere il “silenzio” delle agenzie di rating».
Perche dice che il Fondo è un rischio?
«Non ho idea di quanto capitale potrebbe essere prestato dal Fondo o veicolato attraverso il Fondo all’Italia: si dice intorno ai 300–400 miliardi. Diciamo non decisivi. Ma soprattutto decisiva sarebbe la nostra drastica perdita di sovranità nazionale. Il Fondo presta infatti capitali in cambio di un programma di governo: del suo programma di governo, controllato dalla sua burocrazia. Saremmo il primo grande Paese che va sotto programma, saremmo l’ultimo nella serie degli insuccessi del Fondo».
Monti vi ha fatto notare che la lettera della Bce l’ha chiesta proprio il vostro governo.
«Il presidente Monti ha così fornito al Parlamento un’informazione di cui non si disponeva. In ogni caso, la lettera non l’ho certo chiesta io. Forse altri. Comunque, seppure affatto atipica, la lettera Bce-Banca d’Italia era “Europa su Europa”. Con il Fondo monetario internazionale si produrrebbe invece una drammatica divisione politica dell’eurozona tra Stati di serie A, che contano sempre di più, e Stati di serie B, che contano sempre di meno, con il cappio al collo».
Professor Tremonti, voi avete governato per tre anni e mezzo. Cos’avete fatto? Vi viene rimproverato, non solo da sinistra, un lungo immobilismo. In particolare sulla crescita. In particolare a lei. Come risponde?
«Con forza crescente negli ultimi mesi, lo schema critico, tanto di maggioranza quanto di opposizione, soprattutto lo schema fisso dell’accademia politico-economica era: c’è rigore nei conti pubblici — e per inciso credo che anche quest’anno l’obiettivo di deficit sarà centrato, forse migliorato —, ma non c’è crescita economica. È questione di intendersi. Nel 2010, l’ultimo anno per cui abbiamo dati oggettivi, la crescita italiana è stata certo inferiore a quella della Germania, ma pari a quella della Francia, e superiore a quella della Gran Bretagna. È vero che non basta il nostro tasso di crescita, ma è forse venuto il momento di dire basta all’uso strumentale polemico dei dati economici. Un uso che oggi farebbe male proprio a chi ne faceva uso. Cerchiamo dunque di essere seri e oggettivi».
È oggettivo il fatto che non avete fatto crescere l’economia italiana.
«Neanche Stalin riusciva a fare la crescita con gli ukaze. La crescita dipende da un complesso di fattori. Tra questi c’è il governo, ma non solo il governo. Dipende dalla demografia, dalla geografia, dalla curva della storia. L’Italia ha una demografia avversa, stiamo invecchiando troppo in fretta; siamo un Paese duale, in cui le medie non sono mediane: il Nord cresce più della media, il Sud cresce meno; abbiamo un “quantum” impressionante di leggi, ma un altissimo strutturale tasso di illegalità ; un “equilibrio” mediato da una sconfinata burocrazia politica e amministrativa. La Fiat per fare un contratto è dovuta uscire da Confindustria. Non c’è poca libertà ; ci sono troppe leggi. Al paradigma legale ideale di assoluta perfezione non corrisponde se non in parte la struttura reale del Paese, dall’abusivismo all’evasione fiscale».
Non crede però che Equitalia stia esagerando?
«Negli ultimi tre anni il contrasto all’evasione fiscale è stato reale e fondamentale. Reale: più di 25 miliardi non “contabilizzati” ma incassati. Fondamentale: senza quelle entrate ci sarebbero stati i tagli sociali. Ciò che accade in questi giorni rende comunque opportune correzioni che mi pare siano già in atto».
Perché è caduto il governo Berlusconi, secondo lei? A causa della crisi? Dell’Europa? O dei vostri errori?
«Dal 2008 al 2010 il governo Berlusconi nei sondaggi, nelle tornate elettorali, senza un solo giorno di sciopero generale, ha sfidato la fatale legge di gravità che spingeva in caduta tutti gli altri governi europei. Positivi sull’Italia erano tanto l’Europa quanto il mercato finanziario. Poi alla metà del 2010 è iniziato l'”annus horribilis”: la rottura con Fini, l’illusione dei “responsabili”, pensando che per una maggioranza di governo basti un voto in un giorno in un ramo di Parlamento su di un atto. E poi ancora tante altre cose avverse fino alle elezioni–referendum del maggio di quest’anno. Oggi sembra un secolo fa, ma è solo il maggio di quest’anno! È allora che scatta la ricerca del colpevole nella politica economica: l’accusa per le cartelle esattoriali; la richiesta di ridurre le tasse; l’invito al “coraggio” invece che alla “prudenza”, proprio quando con il degrado del debito americano si addensavano le nubi della tempesta; l’ipotesi del rinvio del pareggio di bilancio “personalmente” promesso in Europa; la Finanziaria che non faceva “sognare”; la crescita da stimolare con la “frustata”. Infine il giallo della lettera Bce–Banca d’Italia. In quattro giorni il Tesoro preparò un decreto che il Financial Times definì perfetto. Subito dopo fu dato all’esterno il messaggio che la “collegialità ” e la dialettica parlamentare lo avrebbero “migliorato”. In agosto il dibattito fu in effetti molto acceso. Forse nella forma, più che nella sostanza, ma la credibilità — che deriva dal latino credere — ne è uscita compromessa».
Com’erano davvero i suoi rapporti con Berlusconi? È vero che lei ha parlato male di lui in Europa, in particolare al vertice di Cannes?
«Sono sempre stato leale e lui — forse non i suoi — lo sa. Tutto quel che ho fatto, glielo ho detto. Tutto quello che ho detto, ho fatto. Quanto all’accusa secondo cui io avrei compromesso la sua immagine all’estero: è un’accusa che, avendo talvolta letto la stampa estera, trovo onestamente ridicola».
È vero che lei ha chiesto la tessera della Lega?
«Considero Bossi uno dei miei migliori amici e una delle persone più intelligenti e oneste che abbia mai conosciuto. Per il resto ho già avuto abbastanza problemi con un altro “stato maggiore”. Non voglio crearne a quello della Lega».
Quindi il suo futuro politico è nel Pdl?
«Sto riflettendo con serietà su tutto e per tutto il tempo necessario. Posso dirle questo: non credo che la crisi consenta più formule one man company o liste antropomorfe».
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