Legge svuota carceri tra stop and go, il primo sì del Senato
Le carceri non si svuotano ma prendono fiato. Chiudono i sei ospedali psichiatrici giudiziari definiti dall’Europa «luoghi di tortura» e tornano liberi 600 dei 1500 detenuti giudicati incapaci di intendere e di volere. Soprattutto, e questa è la vera rivoluzione, pena non fa più rima solo con cella e non sembra più essere l’unico strumento per la rieducazione e il reinserimento. Al netto di qualche trabocchetto e imboscata, alle otto di sera l’aula del Senato licenzia (226 sì, 40 no, 8 astenuti) il tormentato decreto voluto dal ministro Guardasigilli Paola Severino per alleggerire il peso del sovraffollamento carcerario, 68 mila detenuti per 45 mila posti.
«Non so se definirmi soddisfatta» commenta il ministro dopo il voto, «certo abbiamo portato a compimento un lavoro e il decreto esce dal Senato accresciuto nella sua portata, non è stato depotenziato». Adesso il testo va alla Camera dove dovrà essere convertito entro il 20 febbraio. «Proverò in tutti i modi ad evitare la fiducia perchè il dibattito è importante». E alla Lega che ha votato contro in compagnia di qualche falco pdl al grido di «escono ladri dalle celle e i serial killer dai manicomi criminali», il ministro manda a dire: «I detenuti pericolosi non saranno liberi ma detenuti in luoghi in cui si privilegia la cura ma ci sarà anche la vigilanza».
Il decreto, quattro articoli e vari commi, agisce sul sovraffollamento con due strumenti. Il primo manda agli arresti domiciliari i detenuti definitivi e con buona condotta a cui mancano 18 mesi di detenzione. Si tratta dell’allargamento di un misura già in vigore dal dicembre 2010 e che in un anno ha fatto uscire circa quattromila detenuti. Il secondo strumento cerca di agire sul fenomeno delle porte girevoli, quei 22 mila detenuti che ogni anno stanno in carcere solo tre giorni, il tempo che passa tra l’arresto e l’udienza di convalida che spesso e volentieri li rimette in libertà .
E’ il passaggio più contestato della norma. Ed è stato l’occasione per tendere imboscate al ministro. Per evitare le “porte girevoli” il Guardasigilli, e i suoi uffici, hanno pensato di ricorrere alle camera di sicurezza che esistono presso le questure, le stazioni dei carabinieri e della Finanza. Evitando così quello che spesso si rivela un inutile passaggio nell’istituto penitenziario. E qui c’è stato il primo intoppo con la rivolta del Dipartimento della pubblica sicurezza che per bocca del numero due Francesco Cirillo è andato in Commissione a dire che non si poteva fare: le camere di sicurezza sono poche (1057), vanno ristrutturate e servono almeno dieci agenti per una sorvegliare una persona 24 ore. Era il 4 gennaio. Fu una doccia ghiacciata per il ministro consapevole che il decreto approvato dal Consiglio dei ministri il 22 dicembre aveva avuto il via libera anche del Viminale.
La soluzione trovata in Commissione ha cercato di mediare tra i no delle forze di sicurezza e quelli di Lega e falchi pidiellini: ridotti i tempi dell’udienza di convalida (48 ore anzichè 96); obbligo di tenere le udienze anche nei giorni festivi; tre opzioni dopo il fermo e in attesa della convalida a seconda dei reati: i domiciliari come prima opzione, a seguire camere di sicurezza e infine il carcere. Insomma, una «modulazione» che cerca di accontentare tutti. E che, nonostante tutto, venerdì della scorsa settimana e di nuovo martedì è stata stoppata tanto da costringere il Presidente del Senato Renato Schifani a dare un ultimatum per l’approvazione entro ieri sera.
Un percorso accidentato che fa preoccupare in vista dell’approvazione finale. Visto che il decreto contiene anche una norma necessaria e sicuramente coraggiosa come quella che chiude gli Ospedali psichiatrici giudiziari.
Quello che conta è il messaggio culturale che governo e parlamento vogliono dare alla questione sicurezza. «Il decreto approvato dal Senato costituisce l’inizio di un percorso virtuoso che deve ridefinire i rapporti tra difesa sociale e rispetto dei diritti umani, tra carcere e società , tra rieducazione e reinserimento» ha detto Silvia Della Monica, capogruppo Giustizia per il Pd, nelle dichiarazioni di voto. «Il Parlamento ha aggiunto finalmente pone l’attenzione sul tema del carcere non solo in termini di edilizia penitenziaria».
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