by Editore | 30 Gennaio 2012 8:20
Il piano sul quale si sta lavorando prevede il ritiro del presidente, la nomina di un successore appartenente alla stessa famiglia alauita, e la creazione di un governo di unità nazionale, quindi con l’opposizione sunnita.
Assad vuol resistere ma il vicolo, per l’attuale regime, è diventato cieco. Ormai la rivolta infiamma i sobborghi di Damasco e gli attori sono ormai diventati tre: Assad e il suo clan che non cede, con una parte dell’esercito e i servizi segreti; i ribelli, che stanno creando le strutture di un’opposizione organizzata; la componente delle Forze armate che si è schierata con i rivoltosi. È proprio questo gruppo il più pericoloso per il regime. I militari transfughi infatti conoscono bene forza e punti deboli del loro Paese.
L’ultima à ncora è stata, per il vertice di Damasco, la missione della Lega araba, che è fallita perché non è riuscita a ottenere alcun risultato. Gli osservatori attendono che domenica 5 febbraio vi sia una nuova decisione: se abbandonare il lavoro, o se rilanciarlo con aiuti esterni. Quanto era stato prospettato, come ipotesi estrema, all’inizio della missione, potrebbe ora materializzarsi, cioè un pieno coinvolgimento politico-diplomatico delle Nazioni Unite, con tanto di supporto tecnico agli osservatori della Lega.
Siamo ormai alla stretta finale e i fratelli arabi, un tempo pronti a sposare qualsiasi compromesso pur di non prendere una posizione netta, hanno perduto la pazienza. Assad potrebbe anche accettare di ritirarsi, ma a condizione che gli alauiti possano conservare il potere, tuttavia al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, e tra i suoi membri permanenti, gli ostacoli sono assai visibili. La Russia, da sempre alleata di Assad, non accetta una risoluzione che non escluda categoricamente un coinvolgimento militare delle Nazioni Unite. È una corsa contro il tempo, mentre in Siria si continua a morire.
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