Le fondazioni da sole non bastano più cercansi soci forti per banche di sistema

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MILANO – «È stato Fabrizio Palenzona a chiedere a Caltagirone di entrare nel capitale di Unicredit, a Roma si vedono spesso e la comunanza di vedute, anche politiche, è ampia». L’indicazione viene da più persone vicine all’operazione che ieri sera ha portato l’editore del Messaggero a non smentire di avere fatto acquisti di diritti d’opzione Unicredit nel corso dell’aumento di capitale che si chiude proprio oggi. 
L’occasione, in effetti, era ghiotta. Non capita spesso di vedere una delle principali banche europee valere in Borsa 5,5 miliardi di euro (quando il titolo era sceso ai minimi). Uno smottamento provocato dall’aumento di capitale in opzione voluto dalle fondazioni azioniste per non diluire la propria quota e continuare a comandare in Piazza Cordusio. Uno dei capisaldi è il vicepresidente Palenzona che senza alcuna carica specifica “muove” la fondazione Crt, primo azionista italiano della banca di Piazza Cordusio. Ma l’impegno a seguire l’aumento era talmente importante che qualche ente si è perso per strada, oltre ad aver alimentato il ribasso di Borsa con il prestito titoli. Mentre qualche fondo straniero ha fatto incetta di diritti tanto da dare al presidente Dieter Rampl lo spunto per “chiamare” un prossimo cda più internazionale dell’attuale. Così Palenzona e gli alleati di Mediobanca sono stati costretti ad alzare il telefono e invitare i ricchi del paese a puntare i propri soldi sulle azioni Unicredit, rese appetibili dall’enorme sconto. Nei mercati più evoluti, spiega un banchiere d’affari di fama internazionale, si sarebbe fatto un aumento riservato a un grosso investitore istituzionale con uno sconto minimo sul valore di mercato. Ma ciò avrebbe comportato una diluizione più pesante per le fondazioni, con conseguente perdita di potere. Così si è preferito affrontare la burrasca dell’aumento in opzione cercando la blindatura del consorzio di garanzia pagato a peso d’oro. Ha funzionato fino a un certo punto visto che comunque si è reso necessario chiamare, oltre a Caltagirone, Diego Della Valle, Leonardo Del Vecchio, i De Agostini, finanche Mario Moretti Polegato che ha dichiarato di non voler investire il suo tesoretto in business diversi dalla “scarpa che respira”. Mal contato hanno messo insieme un 2% complessivo, circa la quota che le fondazioni non sono riuscite a coprire. Basterà  questa diga nostrana a contenere eventuali incursioni di fondi sovrani o colossi come Santander e Hsbc nel libro soci di Unicredit? Lo si saprà  con certezza solo all’assemblea di aprile che nominerà  il nuovo cda. Il passaggio è delicato poiché Unicredit è la “testa” della galassia Mediobanca-Generali-Rcs ed eventuali cambiamenti negli assetti proprietari provocherebbero sciami sismici nel malandato capitalismo senza capitali italiano.


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