by Editore | 3 Gennaio 2012 7:56
Il governo italiano incassa una buona notizia anche sul fronte «strutturale» dei conti pubblici. Il ministero dell’Economia comunica che nel 2011 il fabbisogno dello Stato (cioè la differenza tra tutte le uscite e le entrate, al netto del pagamento degli interessi sui titoli) «ammonta a 61,5 miliardi», 5,5 miliardi in meno rispetto al 2010. E il risparmio arriva a quasi 8 miliardi se si escludono dal conteggio i finanziamenti alla Grecia. In ogni caso, fa notare il ministero guidato dallo stesso Mario Monti, «si registra un miglioramento significativo di oltre 3 miliardi anche in relazione alle stime ufficiali della “Nota di aggiornamento del documento di Economia e finanza”. Sul risultato ottenuto incide sia l’andamento più favorevole degli incassi fiscali, sia l’andamento riflessivo di alcuni comparti di spesa».
In parallelo le Borse europee sono ripartite bene. Il Ftse Mib di Milano ha chiuso con il +2,42%, collocandosi tra il +3% di Francoforte (indice Dax 30) e il 1,98% di Parigi (Cac 40). Mancano i riscontri delle piazze principali, Londra e New York, chiuse per le feste di inizio anno. Secondo gli analisti, sulle contrattazioni hanno pesato le notizie, per certi versi sorprendenti, in arrivo dalla Germania. In un anno di risultati deprimenti per le altre economie, il Paese guidato da Angela Merkel ha raggiunto la cifra record di 41,04 milioni di occupati, 1,3% in più rispetto al 2010. In sostanza la metà della popolazione tedesca lavora e produce: una proporzione che spiega la tenuta di fondo della Germania. Il tasso di disoccupazione tedesca è ora pari al 5,5% (in Italia è 8,5%).
In questa fase i mercati, in cui convivono investitori sul lungo periodo e rapaci speculatori sul breve, sembrano prestare molta più attenzione ai movimenti nell’economia reale, piuttosto che agli impegni assunti dai principali leader della Ue nei discorsi di fine anno. Il mondo della finanza vuole vedere gli effetti concreti delle misure annunciate o anche già varate, aspettando poi l’impatto dell’accordo firmato il 9 dicembre scorso da 26 Paesi Ue (tutti tranne la Gran Bretagna) sulla nuova «governance» dell’euro.
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