by Editore | 7 Gennaio 2012 7:08
Il crollo di Unicredit dopo l’annuncio dell’aumento di capite è la prova di come sia difficile trovare investitori interessati alle nostre banche. Non c’entra la speculazione: demagogicamente, abbiamo bloccato le vendite allo scoperto; e neppure le società di rating. Per favorire le banche abbiamo cambiato le regole contabili e concesso benefici fiscali. Tutto inutile. Non ci sono compratori. Solo venditori.
Pensando di ristabilire la fiducia degli investitori si è chiesto alle banche di aumentare il capitale a copertura dei rischi; e per evitare la contrazione del credito, la Bce interviene con finanziamenti illimitati. Un duplice fallimento. Unicredit è al terzo aumento e, a giudicare dalle reazioni, dubito che questo sia risolutivo. Tutte le banche italiane hanno fatto aumenti e forzato la conversione di obbligazioni in azioni; ma i capitali così raccolti si sono immediatamente vaporizzati. Nonostante i prezzi da saldo, diventa sempre più difficile trovare investitori.
Invece di scongiurare il credit crunch, la liquidità illimitata ha creato dipendenza dal credito facile della Bce, che non viene utilizzato per estendere nuovi prestiti, ma per acquistare titoli di Stato, e per parcheggiare liquidità presso la stessa Bce allo 0,25%, in attesa di rimborsare i propri debiti in scadenza. E la situazione è destinata a peggiorare: la recessione gonfierà le sofferenze, mentre la caduta del tasso di risparmio in Italia, e i maggiori impegni col fisco, rischiano di erodere la base dei depositi.
In genere, le crisi bancarie si risolvono trasferendo le attività a rischio delle banche a una bad bank, o direttamente a un ente pubblico; ricapitalizzando le banche deboli e fondendole con quelle forti; e se nessuno è disposto a farlo, nazionalizzandole. Così hanno fatto Stati Uniti e Gran Bretagna. Ma nell’Eurozona non funziona. Primo: a differenza di questi due paesi, che mantengono la sovranità monetaria, nell’Eurozona l’intervento di uno Stato nel capitale delle banche aggrava la crisi del debito pubblico; è successo anche nei paesi che di debito ne hanno poco, come Irlanda e Spagna. In Italia sarebbe mortale.
Secondo, se il mercato richiede un premio per il rischio di implosione dell’euro, come sta accadendo, il rischio sovrano si trasmette automaticamente alle banche, con o senza lo Stato nel capitale, perchè in caso di ristrutturazione del debito e/o ritorno alle valuta nazionali si troverebbero immediatamente in stato di insolvenza. Terzo, i sistemi bancari dell’Eurozona sono interconnessi. La crisi di un paese si trasferisce alle banche degli altri (tedesche e francesi sono le più esposte) trasformando così la crisi del debito sovrano in crisi di liquidità : le banche non si fanno più credito reciprocamente e il mercato dei finanziamenti all’ingrosso evapora.
In queste condizioni, aumenti di capitale e prestiti della Bce non servono a nulla perché non sono la soluzione del problema. Mantengono solo in vita un sistema bancario che non è più in grado di funzionare; e lo sarà sempre meno con la recessione e il perdurare della crisi. Ci vorrebbe un intervento a livello europeo, con un’unica bad bank e un unico ente per ricapitalizzare le banche dell’Eurozona. Ma la bad bank si accollerebbe il debito pubblico dei paesi in crisi. E solo la Germania potrebbe offrire le garanzie necessarie. Siamo dunque al punto di partenza.
Alla crisi della moneta unica si sovrappongono le prospettive di un settore bancario italiano comunque in declino: il costo della raccolta sul mercato eccede quello dei prestiti; molti attivi sono immobilizzati e i prestiti in sofferenza; e sono stati fatti investimenti faraonici in reti di sportelli resi inutili dal progresso dell’elettronica. Le banche dovrebbero ridimensionarsi drasticamente, puntare su innovazione tecnologica e creatività commerciale. Non hanno ancora cominciato a farlo. Ma sarebbe l’unica via per garantire la redditività necessaria ad attirare gli investitori; una volta superata la crisi del debito.
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